A… come

ACCOGLIENZA. Cosa è andato a fare Papa Francesco a Lampedusa l’8 luglio scorso? Cosa ha risolto la sua visita del drammatico problema degli sbarchi clandestini? Anzi: sembra sia andato a incentivarli, perché sono aumentati coinvolgendo anche alcune coste della Sicilia. Una visita senza troppo clamore né apparato scenico, messa funebre in suffragio delle vittime del mare. Una visita che ha rincuorato molto gli “addetti ai lavori” i quali giorno e notte sono mobilitati all’accoglienza dei profughi. Una visita che ha rincuorato il parroco e i preti dell’isola, da anni impegnati nell’educare fedeli e istituzioni locali ad una mentalità di accoglienza. Una visita per chiedere perdono a Dio della diffusa indifferenza del mondo cristiano verso questo mondo che fugge in cerca di vita. Papa Francesco non ha accusato nessuno, non ha avuto parole dure verso chi governa, non ha voluto insegnare il metodo dell’accoglienza, non ha stupito elencando cifre o terrorizzando con invettive, ha chiesto perdono battendosi il petto. E noi?… Quale tipo di accoglienza abbiamo nel cuore? Certo il diverso, lo straniero ci inquieta, ci fa un po’ paura, ma tante volte non siamo neppure capaci di accoglienza verso il nuovo vicino di casa, italianissimo come me. Papa Francesco ha chiesto perdono per la nostra paura generata dalle sicurezze umane che tradiscono. E’ la forza della fede che ci fa capaci di vincere ogni paura e fidarci di più della Divina Provvidenza. Impegniamoci ad essere più accoglienti e ci sentiremo accolti!

 

B… come

BENEDIZIONE. Ricordate il silenzio stupito di piazza san Pietro quando Papa Francesco, appena eletto, ha chiesto di essere benedetto dalla folla? Il Papa viene dalla “fine del mondo”, il mondo latino-americano che ha conservato un grande rispetto per il gesto di “benedizione”. Qui da noi si benedice tutto, case, macchine, oggettistica religiosa … in America Latina si benedicono soprattutto le persone.
Un missionario amico mi raccontava del gesto di benedizione fatto dai genitori con il pollice sulla fronte dei figli prima di coricarsi la sera o di uscire per la scuola o per il lavoro.
Risento nella mente le parole del grande vescovo di Lione sant’Ireneo “l’uomo vivente è la gloria di Dio”. È l’uomo con la sua fatica di vivere che va benedetto, con la sua fragilità, con i suoi continui tradimenti; l’uomo con il suo intimo bisogno di assoluto, con la forza del suo amore e il coraggio del perdono. L’uomo messo a custodia del creato e che spesso si comporta da padrone e tiranno, avvelenando così madre terra. L’uomo che ha in mano la forza della pace e la vigliaccheria della guerra, nascondendo la sua scelta fatta di tornaconti e interessi con giustificazioni a volte bizantine, comunque improponibili scelte della violenza.
Il gesto di benedizione è fatto tracciando un segno di croce. È emblematico che bene-dire si dica con la croce. Certo, la croce è l’emblema del discepolo di Gesù, Colui che ha deciso di stare dietro al suo Maestro”, portando la croce con fedeltà, aiutato dal Maestro stesso.

 

C… come

CARITÀ. È una virtù teologale, insieme alla fede e alla speranza. Virtù, in latino, significa forza; è dunque una forza che solo Dio ci può dare come dono. Abitualmente pensiamo che la virtù sia soprattutto un impegno morale, una fatica da compiere con relative rinunce e mortificazioni. Ma, la carità è un grande dono divino che il Signore ci consegna il giorno del Battesimo, un carisma, un talento da far fruttare durante la vita.
La Carità non è risolvibile nel fare del bene, non è innanzitutto un fare, ma un modo di essere. San Paolo nell’Inno alla Carità (1Cor 13,1-13) ci elenca in modo lucido e preciso la mentalità che sta sotto la Carità.
Dobbiamo liberarci da un certo pragmatismo che attanaglia la Chiesa, liberarci dall’imperativo del fare. Sì, la Carità è un darsi da fare perché stiamo coltivando un modo di essere, uno stile di rapporti tra noi, verso il prossimo, il diverso, la persona difficile e scostante. Uno stile che parla di accoglienza, disponibilità e perdono che parte dalla non conoscenza e non dal giudizio, dall’ascolto e non dalla paternale di chi crede di avere in tasca la verità. La carità è un guardare in modo nuovo l’altro come ha fatto il Samaritano che ha visto, si è chinato, ha curato e poi ha raccolto e portato al sicuro il povero. È lo stile di Gesù che prima ama e poi dice. La carità!

 

D… come

DONNA. “Donna, non è ancora giunta la mia ora… Donna, ecco tuo figlio…” sono espressioni di Gesù verso sua Madre. Donna. Ho incontrato una giovane donna africana con in braccio una bimba piccolissima di un mese. “Tuo marito?” – “È scappato in Nigeria, sono sola”. Noi maschietti abbiamo inventato nel corso dei secoli la leggenda della “donna, sesso debole” perché ci da molto fastidio che in realtà i muscoli, quelli dello spirito, della volontà, della tenacia, ce li hanno loro, le donne.
La donna africana stringeva la sua bambina e con un italiano stentatissimo mi faceva capire che doveva pensare tutto lei ed era dura. Il maschio invece ha risolto tutto più in fretta: è scappato.
Tutti abbiamo una donna nella nostra vita, cominciando dalla mamma che ha segnato profondamente la nostra educazione; la donna con la quale stiamo invecchiando perché l’abbiamo scelta come compagna e sovente riesce ad orientare le nostre scelte, anche le più importanti; una donna che ci è stata vicino con forte determinazione, seppur nella discrezione, nei momenti bui e in quelli gioiosi, come è stata per me mia sorella.  …Donna. Ma la “donna” per eccellenza è proprio Lei, Maria, la “mia-donna”. La Madonna.
Tutti possiamo chiamarla così perché Lei è “donna” per tutti, è “tanto grande e tanto vale”, come canta dante, che ogni beneficio divino passa attraverso di Lei. Allora ripetiamo le parole di Gesù e presentiamoci a Lei dicendo “Donna, ecco tuo figlio!”.

 

E… come

ETERNITÀ. Ma non ci annoieremo a restare “per sempre” in Paradiso?
Ogni tanto proponevo questa domanda di ritorno dal catechismo alla mamma. E la risposta era sempre quella: ma là c’è il Signore! È difficile per me anche ora che sto invecchiando coniugare bene questo “per sempre”. Non c’è nulla di umano che dura per sempre, tutto ha una fine, lo sperimentiamo con non poca amarezza ogni giorno. Persone care che finiscono il loro cammino accanto a noi, giorni di festa o di riposo che scorrono veloci e ci fanno ripiombare nel terribile quotidiano, sentimenti, affetti, legami che sembravano imperituri e svaniscono dopo una delusione.
Eppure tracce di eternità ci sono anche nella nostra natura umana. Prima di tutto c’è lo Spirito donatoci nel giorno del Battesimo che ha cambiato con il suo segno di Grazia (il carattere diceva l’antico catechismo) il nostro essere. L’amore eroico di chi sa donare sangue e vita per la persona amata o rischia la sicurezza per soccorrere un prossimo in grave difficoltà. Il rinunciare all’affermazione personale in favore di una causa buona, accettare di scomparire agli occhi del mondo perché appaia il Bene, la Verità. Insomma nella gratuità è presente un forte segno dell’eternità, perché la gratuità è lo stile di Dio che ama senza aspettare il contraccambio, che ama per primo senza verificare se l’oggetto dell’amore è meritevole. Quanta Parola di Dio racconta questo atteggiamento del Signore. Ma c’è una frase legata alla rivelazione privata, il diario di Santa Faustina, che mi prende particolarmente il cuore: quando Gesù dice a questa piccola e umile suora “chiedi il permesso agli uomini perché io li possa amare per sempre…”. Eternità!

 

F… come

FIDUCIA. La fiducia è una cosa seria! Così recitava lo slogan pubblicitario di una famosa ditta di formaggi al Carosello dei miei tempi. È vero. La fiducia non si dà a chiunque. Vuol dire consegnarsi a qualcuno, mettere a parte delle nostre cose più intime, dei nostri segreti un’altra persona. Fidarsi implica una conoscenza reciproca ben approfondita, una relazione sicura che mi fa stare tranquillo insieme a quella persona, anzi mi sento sicuro in sua compagnia perché la ritengo un altro me stesso. Oggi siamo invitati continuamente a fidarci di questo o di quello, gli spot pubblicitari fanno appello alla nostra fiducia, ammiccando, tentando, condizionandola in tanti modi. Ci assicurano risultati miracolosi, usando quel tal prodotto, consumando regolarmente quel tal preparato e noi crediamo … ci fidiamo. Salvo poi ricorrere disperati (senza più fiducia) a “Mi manda Rai Tre”, per raccontare la nostra disavventura e sperare un risarcimento di … fiducia.
Come stai con la tua fede? Lo chiedeva a ciascuno di noi con la sua lettera pastorale il Vescovo mons. Brambilla: in un importante passaggio ci faceva notare che la fede, quella cristiana, non è tanto il credere all’esistenza di Dio, ma il fidarsi di Lui, il mettere serenamente e decisamente la nostra vita nelle Sue mani misericordiose e provvidenziali. Tale scelta risulta però possibile se accettiamo di far nascere una relazione tra noi e Lui: così sboccia e cresce la fiducia, cioè la fede ben radicata nel Signore.

 

G… come

GRATIS. Sarà successo anche a voi che qualche “rompiscatole”, nel bel mezzo del vostro momento di relax, vi telefona o vi suona alla porta offrendovi, totalmente gratis, qualche prodotto. Vi propone l’affare della vostra vita, baciato dalla fortuna al quale non potete assolutamente rinunciare. Ma subito nasce in noi il sospetto dell’imbroglio, perché ormai più nessuno si fida di ciò che è dato gratis. Siamo abituati a pagare tutto, anzi più paghi più credi al valore della merce che comperi.
Da gratis proviene il vocabolo “grazia”. Il catechismo ci ricorda che la Grazia è il dono per eccellenza che il Signore ci fa il giorno del nostro Battesimo, possiamo ritenere la Grazia come lo Spirito santo che entra dirompente nella nostra vita e da creature umane ci fa figli di Dio. È per questa Grazia che vive in noi che possiamo rivolgerci a Dio chiamandolo Padre. Questo dono di Grazia ha meravigliato anche la Vergine Maria quando l’Angelo l’ha salutata chiamandola “piena di Grazia”.
Sì, Dio si rivolge a noi nella totale gratuità, si dona gratis a ciascuno di noi e non c’è sotto nessun inganno, ma il suo infinito Amore. Gesù ne è il segno concreto, è l’incarnazione di questo gratis del Padre nei confronti di tutta l’umanità.

 

H… come

HOMO. Significa uomo in latino, ma quell’H davanti mi sembra rafforzi di più il vocabolo e gli dia ancor più carattere. Homo indica il “genere umano” maschile e femminile. Non posso far a meno di ricordare la presentazione che Pilato fa di Gesù dopo averlo pestato e flagellato alla colonna: Ecce Homo!
Presentazione fatta alla moltitudine, ma soprattutto ai capi del popolo e ai sacerdoti sobillatori: ecco quell’uomo che temete al punto di volerlo far fuori. Ecco quell’uomo ridotto a sangue e lividi che non sembra più uomo, ma verme. Tuttavia quell’affermazione lapidaria “Homo” ridà tutta la dignità a quel condannato innocente.
Il grande Vescovo Ireneo, pastore della città di Lione, afferma che “gloria Dei Homo vivens” cioè la gloria di Dio è l’uomo vivente. Spesso ci illudiamo di rendere gloria e onore a Dio con le nostre altissime cattedrali antiche e moderne, con il culto solenne profumato di incenso e accompagnato da soavi polifonie. Spesso crediamo che Dio abbia bisogno delle nostre speculazioni teologiche e delle perfette organizzazioni pastorali … ma il Signore Dio trae la sua gloria, la sua soddisfazione, il suo compiacimento dalla vita dell’uomo. Una vita decorosa, sicura, felice. Sta a noi rendere possibili tali caratteristiche per tutti, rimettendo l’uomo che vive al centro delle riflessioni e delle scelte, al centro della nostra vita.

 

I… come

INDIFFERENZA. È un male terribile che uccide chi la riceve e chi la procura. C’è sempre stata, ma ai nostri giorni colpisce particolarmente. Una ragazza mi raccontava un’esperienza vissuta questa estate. Camminava in una centralissima strada di Roma, una donna di mezza età si accascia al suolo, nessuno si ferma, passanti frettolosi scavalcano il corpo per continuare il loro cammino, finalmente un vigile urbano interviene … in fondo la giustificazione la troviamo: non bisogna interessarci dei fatti altrui. Visitando una persona malata, ho scelto di salire le scale del condominio, un po’ di moto non guasta: fuori dalla porta di un appartamento una formella aveva inciso la frase lapidaria e perentoria “qui entra solo chi si fa gli affari suoi!”.
Per fortuna non dovevo suonare quel campanello! Anche papa Francesco ci fa notare che se crolla una quotazione in borsa c’è allarme nazionale, se muore una persona nessuno ci bada più, non fa notizia. Cosa ci sta succedendo? Dove sono finiti i tempi in cui da ragazzino combinavi una marachella e in tempo reale la mamma ne era già informata? Non intendo quel controllo sociale asfissiante dei pettegoli maliziosi, ma quel farsi carico dei piccoli o grandi problemi del prossimo per dire una parola buona e, dove possibile, dare una mano.
Per fortuna l’indifferenza non è lo stile di Dio, perché nella sua Parola è detto che “… il tuo nome è scritto sul palmo della mia Mano.”

 

L… come Lei… Lui…

LA COPPIA. Stiamo concludendo il primo grappolo di incontri del cammino in preparazione al matrimonio cristiano e ho pensato ai volti delle 11 coppie di fidanzati che settimanalmente vengono in casa parrocchiale. Undici Lei e undici Lui che diventeranno Noi nel sacramento nuziale. Mi sembra un po’ grottesco che io, che ho scelto di non sposarmi, debba parlare e infervorare 22 giovani che hanno deciso di diventare coppie… Per fortuna non sono solo. Devo dire grazie a Monica e Giovanni, Gianluca e Diletta, Cristiana e Maggiorino, Federica e Marco, Lucia ed Enrico, Marina e Vincenzo, delle Lei e dei Lui che sono già diventati coppia nel matrimonio ed hanno già dei figli. Con loro e con don Tommaso riusciamo ad annunciare il grande mistero dell’amore cristiano, a delinearne le fatiche e le gioie, le prospettive e i pericoli.
Qualche giorno fa anche papa Francesco ha parlato di coppia, di famiglia, indicando tre semplici parole che devono sostenere il cammino. PERMESSO. È vero, nessuno è padrone dell’altro, e ogni volta che si entra nella vita del partner bisogna farlo con delicatezza, come ospiti che entrano con grande rispetto e non invadono con prepotenza. GRAZIE. Non tutto è dovuto, ma tutto è “grazia”, cioè dono. Questo va tenuto presente sempre con grande attenzione. La gratuità rende libero e vero l’amore. SCUSA. Regalarsi il perdono chiedendolo, con umile affetto, è dare concretezza a quel”per sempre” che ci si è scambiati il giorno delle nozze. Lei, Lui, Noi… Nell’accoglienza e nel dono reciproco formano la coppia che ama nell’immagine di Cristo che ama la sua Chiesa.

 

M… come

MORTE. Se ne parla poco, anzi non se ne deve parlare, non porta bene. Te la sbattono sugli schermi del telegiornale mentre stai cenando, te la fanno vedere anche nei suoi particolari raccapriccianti durante i vari telefilm polizieschi, ma non se ne deve parlare. È concesso dire qualche frase di circostanza al prete durante i funerali, ma nulla più. Ai bambini poi ne è proibita la visione, non devono sapere o partecipare per non spaventarli. Pensare che sant’Ignazio di Loyola, fondatore dei Gesuiti, dai quali proviene anche papa Francesco, sentenziava che alla morte bisogna pensare ogni giorno per vivere bene la giornata stessa e ancora: quale è il nostro pensiero sulla morte, tale sarà il nostro stile di vita.
Per noi credenti la morte è una vera “botta di vita”! È la grande occasione per incontrare finalmente il Mistero, per entrare nel mondo di Dio e vederlo così come Egli è. Il tempo di vita che ci è dato serve proprio per “familiarizzare” con questo incontro, facendo entrare Dio nella nostra vita, nel nostro mondo. Incontrare Dio qui, in questo tempo, in questa storia per conoscerlo e farci conoscere per poterlo “riconoscere” nel giorno del “grande incontro”.
Nel Vangelo è messo bene in luce il rischio di chi perde tempo e non fa posto a Dio: “…stando fuori bussano dicendo – Signore, Signore, abbiamo parlato di te, abbiamo mangiato con Te … -, ma dall’interno la risposta: “Non vi conosco, non so chi voi siate …” e la porta resta chiusa.
Allora accogliamo ancora una volta l’invito accorato di Giovanni Paolo II: spalancate le porte a Cristo! Allora la morte non sarà più lo spauracchio, certo avrà sempre il suo carico di mestizia per chi ci lascia, ma sarà grande speranza per l’Amore che si trova.

 

N… come

NO. “Se mi ami dimmi di no!”. È il curioso titolo di un libro che tratta dell’arte dell’educazione dei giovani. Di solito pensiamo al no come ad una affermazione solo negativa, in realtà porta in sé anche tante positività. Il no è come un paletto che delimita un confine, un segnale che dice una direzione emette in guardia da un pericolo. Quanto no siamo chiamati a vivere nel corso della nostra esistenza, ma tanti di questi, pur limitandola, salvano l’incolumità della nostra libertà.
Mi piace l’immagine della libertà come un cantiere sempre aperto, dove certi no sono le misure di sicurezza per lavorare in tutta tranquillità.
Anche i 10 comandamenti sono dei chiari no a determinati comportamenti, ma l’accoglierli e farli nostri non è solo uno sforzo di ubbidienza a Dio, ma è saper leggere in profondità la nostra coscienza e tenerla “allenata” a percorrere la strada della nostra vera realizzazione umana e cristiana.
Sovente il no detto con piena convinzione e libertà non è in contrapposizione al sì, ma anzi lo prepara e l’aiuta a formarsi come scelta che costruisce armonicamente la nostra vita. Il no prepara la strada al vero sì di adesione totale, sfronda il cammino di tanti ostacoli, alleggerisce il fardello, ci fa puntare all’essenziale, all’indispensabile. Il no sovente svuota il cuore di false certezze che non possono garantire la sicurezza, ma lo aprono a quell’Amore infinito che chiede spazio e adesione totale.
Un no coraggioso per far posto al sì dell’Amore.

 

P… come

Pane quotidiano. È il nome che il gruppo dei volontari della mensa si è dato. Un servizio necessario in questi tempi nella nostra città. Un’attività benedetta dai molti utenti, oltre 150 nelle sere d’apertura, molto impegnativa per i volontari che ruotano su tre turni (lunedì, mercoledì, venerdì), molto chiacchierata da chi conosce le cose solo a metà.
Certo, alcune serate dell’estate scorsa mi hanno preoccupato quando il numero dei commensali ha toccato il picco dei 280 coperti. Ma sono tutti bisognosi o i soliti furbi imbeccati per trovare tutto pronto, buono e gratis? La risposta l’ha già data Gesù, affermando che i poveri li avrete sempre con voi, i poveri di mezzi e risorse e i poveri di onestà…
Ma io vorrei soffermarmi sui volontari, cuochi, aiuti cucina, camerieri. Mi ha colpito la semplice, spontanea “liturgia” che precede la distribuzione. Quando tutto è pronto e prima di spalancare le porte, tutti i volontari si radunano in cucina e attorno alle pentole fumanti e ai piatti di portata, tenendosi per mano, recitano il Padre Nostro, calcando con la voce l’invocazione “dacci oggi il nostro pane quotidiano”: e poi via, a scodellare per il povero e per il furbo, sorridendo a chi ti dice grazie e a chi brontola perché trova la pasta troppo salata…
“I poveri li avrete sempre con voi…”.
Guardare e accogliere le povertà significa non giudicare e non condannare, certo senza fette di salame sugli occhi, ma facendo passare la logica della testa per la strada del cuore. Così cercano di fare i volontari del Pane Quotidiano.

Q… come

Quando. “Tu quando verrai Signore Gesù…”. È l’incipit di un inno di questo tempo d’Avvento. Ci ricorda che il Signore Gesù deve tornare “a giudicare i vivi e i morti”, ma quando? Questo avverbio di tempo ci lascia un po’ tutti con il fiato sospeso, anche gli Apostoli rivolgevano al Maestro la fatidica domanda: “Quando?”. E Gesù di rimando: “Non tocca a voi sapere né il giorno né l’ora, le conosce il Padre”.
Il Signore non dà indicazioni precise e definitive, rimandando tutto a Dio Padre. Anzi sembra lasciare intendere che neppure Lui, il Figlio, conosca a fondo la questione e lascia in sospeso il quando. Tuttavia questo “quando” è importante perché afferma che un giorno verrà e invita la vigilanza, scrutando nel cammino della vita, l’alba di quel giorno.
Il Vangelo di queste domeniche d’Avvento ci sprona a calare nella vita il “quando”, non come spasmodica attesa di qualcosa o qualcuno che non si decide ad arrivare, ma come fattivo impegno di scelte, azioni, mentalità che favoriscano in tutto quel grande incontro che ci attende. Aspettare il ritorno di Gesù non è una spada di Damocle che pende sul nostro capo, terribile ed inesorabile, ma la gioiosa convinzione che il nostro cammino ha un tracciato sicuro, delle orme segnate, un Fratello premuroso che ci precede, ci accompagna, che si fa strada per noi.
Il “quando” ci insegna ad aspettare ad agire, a coltivare la speranza e ad impegnarci concretamente nella carità. Il “quando” ci ripropone quella frase arguta di Sant’Agostino: “Lavora come se dipendesse tutto da te con la ferma certezza che tutto dipende da Dio”.

R… come

Re Magi. Ho pensato subito a loro vedendo la lettera R, questo per due motivi. Primo: il Vescovo Franco Giulio ci ha fatto giungere un bellissimo augurio natalizio che prende le mosse dall’esperienza dei Magi. Secondo: lunedì 24 ottobre scorso con la regia e l’organizzazione perfetta di don Fabrizio, noi quattro preti di Trecate siamo “volati” in giornata a Colonia, dove nel Duomo della città, una favola scolpita nella pietra, sono custodite le reliquie dei Re Magi.
Mi sono soffermato molto davanti al sarcofago di argento che conserva i resti di questi meravigliosi personaggi. Ho pensato alla loro esperienza, al loro cammino di fede. Ricchi di soldi e potere, erano dei re, sapienti e fini conoscitori delle cose del mondo, erano magi cioè istruiti, hanno saputo abbandonare tutto per stupirsi e inginocchiarsi davanti alla normalità feriale di un neonato, figlio di povera gente.
Hanno saputo lasciarsi illuminare dal loro desiderio di verità, “la stella”, hanno saputo riconoscere con gioiosa umiltà la volontà di Dio. Ecco l’augurio di noi preti per tutti voi: ritrovare una gioiosa umiltà che ci aiuti a riconoscere il Signore presente nella nostra vita. Buon Natale!
Don Ettore, don Fabrizio, don Mauro e don Tommaso.

S… come

Silenzio. Sto uscendo dalla chiesa del Monastero dopo la messa delle 23 e sono stordito dagli scoppi dei petardi, dai fuochi artificiali che illuminano il cielo, dal campanone che a mezzanotte in punto saluta con i suoi rintocchi l’anno nuovo. C’è gente sulla piazza della chiesa che mi grida gli auguri, si sente movimento di macchine per le strade, non sembra neppure notte fonda …
Ho appena letto nel breviario l’antifona che dice: “nel silenzio della notte il tuo Verbo, o Signore, si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi …”. Nel silenzio.
È tradizione aspettare nella gioia l’anno nuovo, il baccano, gli scoppi e le luci dicono l’entusiasmo e la trepidazione per una nuova occasione di vita che ci è data… ma è nel silenzio che si compiono le cose più grandi. Il silenzio è il linguaggio di Dio, è il modo con cui Lui risponde alle tante nostre domande, è lo stile che usa per rendersi presente nelle nostre vite. Il silenzio non è solo il tacere, ma è anche il coraggio di entrare in noi stessi e guardarci dal di dentro, vedere senza ipocrisia il nostro intimo, chiamare i sentimenti con il loro nome, senza camuffarli o addomesticarli.
È nel silenzio che si trova il coraggio di decisioni importanti e difficili, è con il silenzio che si comunica meglio il nostro stato d’animo così che il silenzio parla spesso più delle parole. Chiediamo per questo nuovo anno a Maria, Vergine del silenzio, che ci insegni a vivere bene il silenzio per rendere più vere e feconde le parole. Buon Anno!

T… come

Terra. un adagio popolare ci ricorda che la terra è bassa. Tutti abbiamo ancora nelle orecchie la raccomandazione della mamma quando le feste ci metteva il vestito buono “non sporcarti subito con la terra!”. la terra è bassa, la terra è sporca. Lavorare la terra è fatica perché ti spacca la schiena. La terra è nemica, recita un altro adagio delle campagne francesi.
Eppure Dio Creatore ha pensato alla terra come ad un giardino meraviglioso, pieno di frutti ed animali, da dare in custodia all’uomo. Non in proprietà o comodato d’uso, cioè come se fosse dell’uomo, ma in custodia, usando ciò che serve e non facendo man bassa di tutto, come un padrone prepotente.
Nel “giorno della verità”, cioè quel giorno in cui tutto sarà messo alla luce e ci sarà chiesto conto delle nostre responsabilità di tempo regalato, di doti o talenti consegnati, il Signore ci chiederà conto anche della terra, dell’uso e dell’abuso perpetrato, di come l’abbiamo lavorata, seminata e di ciò che vi abbiamo raccolto. Ci farà raccontare del mistero fecondo che abbiamo sperimentato dissodandola e raccogliendone i frutti abbondanti e del dramma terribile dei veleni nascosti dalle nostre mani nelle sue viscere, scorie radioattive, rifiuti tossici di ogni genere, condannandola così’ a morte inesorabile.
Papa Francesco sovente ci mette davanti queste responsabilità a livello personale e collettivo, ricordandoci insieme a san Tommaso D’Aquino, che la natura e il suo splendore è il primo e meraviglioso libro che ci parla dell’esistenza di Dio.
Allora il rispetto e la cura del creato è una risposta di gratitudine all’immensa Provvidenza divina.

V… come

Vita. La vita è bella! Questa affermazione era l’immancabile finale di ogni conversazione tra me e una signora anziana che andavo a visitare. Era affetta da una grave maculopatia (praticamente cieca) e da un disturbo al sistema nervoso che ogni tanto paralizzava alcune parti del suo corpo con forti dolori.
Mi raccontava le sue giornate buie e dolorose, lei che era stata una buona ricamatrice e appassionata di letture classiche. Dagli occhi le scendevano le lacrime e mi confessava la tentazione forte di disperarsi, ma poi si risollevava e con un sorriso mi diceva convinta: “la vita è bella!”e si lasciava andare a tanti ricordi di fatti e persone. Ho dimenticato di dire che aveva però un segreto…
Come si può dire in certe condizioni che la vita è bella? Guardiamoci attorno, tutto sembra franare, sfaldarsi e non solo per le piogge torrenziali di questi giorni, ma per la politica che continua a dare spettacoli di violenza verbale e fisica, cercando la soluzione con la voglia di non trovarla mai. È franata l’economia che dà numeri alti e bassi in borsa e continua a togliere posti di lavoro, continua a tagliare fondi là dove ne avremmo più bisogno: nella salute, nella scuola, nel sociale. Stiamo franando come nazione che invece di far quadrato nella solidarietà, si disperde nella cura di interessi meschini. La vita è davvero bella ?
Puoi trovare ancora qualche cosa di bello nella vita se hai anche tu un ingrediente segreto: la fede! sì, la fiducia nel Signore Gesù che cammina con noi nelle difficoltà e ci sostiene, che prende su di sé il male del mondo e ci aiuta ad affrontarlo, che illumina il buio del terribile momento con la certezza che la luce c’è … allora la vita è davvero bella!

Z… come

Zia. Voglio concludere questo alfabeto con un ricordo personale. La Z mi richiama subito alla memoria una mia cara zia che ha segnato con la sua presenza la mia giovinezza. In realtà avevo molte zie perché dalla parte materna erano in undici tra fratelli e sorelle, ma la “zia” per antonomasia era la “zia Lucia”.
Non si era mai sposata, cioè era rimasta signorina (o zitella come mormoravamo noi nipoti) in fedeltà ad un amore perduto in seguito alla prima guerra mondiale. Classe 1905, a 27 anni aveva lasciato l’Italia per il Portogallo dove, con un gruppetto di altri operai era andata ad insegnare l’arte del fare i cappelli di feltro che lei ben conosceva.
Quanti racconti su questo viaggio e la permanenza durata sei anni, quanti episodi e incontri con gente che, nella fantasia di noi ragazzi, assumevano colori e dimensioni sproporzionate. Ma la zia Lucia, soprattutto raggiunta la pensione, si era messa totalmente a disposizione della nostra grande famiglia. La ricordo in casa durante una lunga malattia della mamma, a sfaccendare e a far trovare tutto pronto; partiva veloce per il Sanatorio dove si trovava ricoverata una giovane cugina, prestava soldi allo zio capomastro, suo cognato, perché potesse concludere un buon lavoro pagando gli operai.
Da lei ho imparato a cantare, ascoltandola: faceva parte della scuola di canto parrocchiale, ma soprattutto mi ha insegnato la giustizia verso i poveri. Mi ha insegnato che fare del bene a chi non ha è una sorta di restituzione, di condivisione della propria fortuna.
Non ha avuto figli, ma tutti noi cugini, siamo ancora tanti, ci sentivamo tutti suoi. Ancora oggi in certi momenti di melanconia, chiudo gli occhi e sto attento, mi sembra di sentire la voce della zia che canta una lode alla Vergine e tutto passa … Grazie zia!

don Ettore