Il suo significato

L’espressione “alloggiare i pellegrini”, o per dirla come Papa Francesco nella Bolla del Giubileo “accogliere i forestieri”, rinvia alla pratica di dare ricovero a chi sta compiendo un pellegrinaggio. Non a caso le opere di Misericordia furono molto spesso raffigurate nelle chiese disposte lungo gli itinerari dei grandi pellegrinaggi per stimolare l’attiva carità dei fedeli. Alla fine, dietro l’espressione che parla di “alloggiare i pellegrini” vi è la parola evangelica sull’accoglienza del forestiero e dunque la pratica dell’ospitalità. È il proseguire la tradizione biblica che riconosceva come gesto di carità e di giustizia voluto da Dio l’accoglienza, la cura e il rispetto per il forestiero. Il forestiero che è in cammino o viene a vivere in mezzo al popolo di Israele è un ricordo vivente della condizione di viandanti che accomuna tutti gli uomini; anzi un segno del passaggio di Dio stesso. È una pratica che oggi è drammaticamente interpellata dal massiccio fenomeno migratorio, che pone a contatto uomini e donne provenienti da Paesi poveri o resi invivibili da guerre e violenze con gli abitanti della parte ricca del globo. “Oggi vi è bisogno del diffondersi e del radicarsi di una cultura dell’ospitalità in particolare nei confronti degli stranieri che premono alle porte dei nostri paesi. Ne va dell’umanità stessa dell’uomo”. Ricordiamoci inoltre che ogni essere umano “in quanto venuto al mondo, è lui stesso ospite dell’umano che è in lui: noi diamo ospitalità perché sappiamo di essere ospitati a nostra volta”.

Dare ospitalità è quindi un atto con cui si risponde alla propria vocazione umana e si realizza la propria umanità. Questo può aiutarci ad avere cura degli altri esseri umani, a uscire dalla nostra indifferenza e dal rifiuto della compassione che ci permette di comprometterci con l’altro e di diventare accoglienti. Alloggiare, allora, è mettere al riparo chi non ha riparo, soprattutto oggi “nell’epoca della globalizzazione in cui siamo chiamati come cristiani a globalizzare la solidarietà, perché ormai siamo cittadini del mondo e il nostro sguardo sulle povertà non può che essere universale”. Accogliere e ospitare, infatti, significano soprattutto “ricevere un dono”, il dono della diversità dell’altro che, vista secondo l’ottica evangelica, non è un limite, ma la nostra grande ricchezza. L’amore è la forza che unisce le diversità, fa allargare gli orizzonti, cogliere meglio la bellezza di noi stessi: l’ospite o il pellegrino portano sempre una novità di vita che fa maturare la nostra esistenza. Il forestiero che accolgo può trasformarsi addirittura in un dono. Questa quarta opera di misericordia corporale, così attuale, ci spinge con forza a non respingere il nemico, a non rifiutare il nuovo, ad accogliere il dono, a ospitare chi è senza riparo con la stessa misericordia con cui Gesù ci mette al riparo nella vita di ogni giorno. Infine va ricordato che i primi destinatari sono tutte quelle persone che incontriamo ogni giorno, a partire dai nostri familiari.

 

Gesti concreti

L’ospitalità, prima di essere una questione politica o sociale, è opera di misericordia che si vive soprattutto nella vita ordinaria e quotidiana.

Significa rendermi conto di avere vicino una persona diversa da me che riconosco ed accetto.

È comprendere che gli altri sono ricchezze da valorizzare con gioia, senza invidia e senza temere di essere da loro schiacciato.

È avere la capacità di stare con le persone, entrando in relazione con loro e ricercando sempre il dialogo, l’ascolto e la misericordia.

Significa accogliere Gesù: nelle loro parole, sguardi, sofferenze posso riconoscere la Sua divina presenza.

Comporta sperimentare l’amore che viene da Dio, la verità delle parole che vengono da Lui; è porsi ogni giorno davanti alla Parola di Dio e metterla in pratica.

Si ospita nel proprio tempo, nel proprio cuore, nel proprio affetto (pensare all’altro, preoccuparsi dell’altro, pregare per l’altro…).

Si ospita nella propria casa (per farsi compagnia, per condividere qualcosa di bello, per offrire un cibo, una bevanda, un po’ di riposo…).

Si ospita nella propria famiglia (allargando le amicizie, condividendo gli affetti…).

Si ospita nella propria chiesa (accogliere con cordialità i forestieri di passaggio senza analizzarli con sospetto; facendo spazio ai bambini, agli anziani, ai disagiati; rendendo accogliente, aperta, funzionale alla preghiera la chiesa Parrocchiale…).

Si ospita nella Comunità cristiana: cancellando le distinzioni “noi/voi”; aprendo le iniziative e la vita di preghiera all’altro, a chi non ha le mie abitudini e tradizioni senza pretendere che diventi come me; avendo il coraggio di mettere a disposizione gli spazi per chi è nel bisogno.

Ascoltare lo straniero significa accoglierne l’appello e assumere la responsabilità di una risposta.

A cura di Alessandro Maffiolini