Il suo significato

La vita umana si svolge tra due nudità: quella dell’inizio della vita e quella della fine della vita. Nel mezzo avviene il processo di “vestizione”: il vestirsi è un’arte che il bambino impara grazie alla madre che lo veste; l’anziano poi deve spesso farsi aiutare. Durante la vita sono le situazioni di povertà e di miseria che possono spogliare dei beni e ridurre alla nudità, una nudità che significa non solo esposizione alle inclemenze del tempo, ma anche umiliazione, indegnità, assenza di difese, pericolo. È il vestito che distingue l’essere umano dagli animali. Essere sprovvisti di vestiti o indossare pochi abiti o alcuni stracci è una condizione che ha rilevanti connotazioni psicologiche e spirituali. “Vestire chi è nudo è opera di carità che imita la compassione di Dio”: si fonda, per la Bibbia, sul gesto originario di Dio stesso che ricoprì la nudità umana preparando gli abiti e poi vestendo Adamo ed Eva dopo la loro trasgressione, è il prendersi cura di chi non può vestirsi da solo. Oggi, nei nostri paesi, incontriamo meno frequentemente persone completamente nude per mancanza di vestiti; è invece possibile che alcuni fattori possano limitare o impedire l’acquisto. I negozi delle nostre città offrono in bella mostra vestiti per ogni gusto e ogni tasca, i centri commerciali “celebrano il culto delle grandi firme”, il mondo del lavoro quasi pretende un determinato abbigliamento e spesso il modo di vestire è determinante per l’accettazione e l’appartenenza ad un certo gruppo o fascia sociale. Prima ancora di conoscere una persona siamo abituati a farci un’idea di lei sulla base del vestito che indossa, sul taglio degli abiti, sull’abbinamento dei colori. Guardiamo molto all’esteriorità che diventa spesso l’unico criterio di giudicare gli altri”. L’uomo nudo è l’immagine del più povero fra i poveri. E non soltanto nel senso realistico della parola. Infatti si trova nello stato di nudità anche colui che viene privato e spogliato di tutti i suoi beni e della stessa sua dignità”. Inoltre esistono nudità da intendersi come impossibilità di coprirsi per difendersi dal freddo e per presentarsi dignitosamente agli altri: è la nudità più umiliante, segno e frutto di estrema povertà. Il rischio è che oggi in una società come la nostra la cultura del superfluo finisca per farci chiudere gli occhi di fronte alla mancanza del necessario per tantissimi diseredati. In questo contesto “vestire gli ignudi significa porre un freno all’esibizione nei vestiti, limitare lo sfoggio, esercitare il senso della misura e quella sobrietà che è propria della vera eleganza e non è mai irrispettosa”. La nudità in effetti spaventa ed interroga: “un corpo mostrato senza veste corrisponde per noi ad una persona indigente; un uomo malvestito è un povero e forse anche un delinquente pronto a rubarci i nostri abiti firmati”. Ma anche alla nudità oramai siamo ampiamente abituati. Vestire, infine, diventa la capacità di ridare identità e dignità alle persone, oggetto e soggetto del nostro intervento. Allora un cristiano non può esimersi da vivere quest’opera e da avere uno sguardo nuovo, attento e capace di individuare le necessità dei propri fratelli.

 

Gesti concreti

È un’opera di misericordia che è difficile da ridurre in poche righe o in un articolo; andrebbe fatta una catechesi approfondita. Qui diamo alcune linee concrete per viverla nel nostro quotidiano.

Riconoscere che l’incontro con i poveri è la più importante scuola di vita: sono dei fratelli da amare nel nome di Cristo. A loro va aperto il nostro cuore.

Rimanere in ascolto, donando tempo e spazio della mia giornata, ricordandomi sempre che la vita è un dono di Dio e non una proprietà privata.

È promuovere la persona nella sua integralità, è dare il proprio piccolo contributo perché ognuno possa sperimentare la libertà e la liberazione da tutti quei legacci che lo imprigionano.

È vivere nel concreto del quotidiano la fraternità che ci ricorda che siamo chiamati a custodirci gli uni gli altri nella consapevolezza di essere una sola famiglia umana.

Condividere gli abiti con il povero è gesto di intimità che richiede delicatezza, discrezione e tenerezza, perché ha a che fare in modo diretto con il corpo dell’altro, con la sua unicità che si cristallizza al massimo grado nel volto, che resta nudo, scoperto, e che con la sua vulnerabilità ricorda la fragilità di tutto il corpo, di tutta la persona umana e rinvia ad essa.

Aiutare le molte associazioni che si occupano di raccogliere e inviare vestiti per i Paesi nell’indigenza.

Donare vestiti dignitosi, puliti, non di scarto alla Caritas parrocchiale. Tenere presente che un conto è fare carità con gli scarti, un conto è condividere quello che ho, magari in eccesso.

Creare relazioni con quanti sono in difficoltà e non avere paura di mettersi in gioco in prima persona.

Lo spreco, l’ostentazione, il lusso ingiustificato sono sempre inconciliabili con la carità verso il bisognoso.

Evitare la curiosità morbosa e indiscreta (per non violare l’intimità e la profondità dell’altro).

Non spargere chiacchiere e maldicenze (papa Francesco ricorda di non mettere a nudo i difetti, gli sbagli, le miserie dell’altro).

Non pretendere di comprare ogni cosa che ci piace, quando non se ne ha bisogno.

 A cura di Alessandro Maffiolini