Siamo all’invito che l’angelo fa, attraverso le donne, agli apostoli e anche a tutti i battezzati. Nei vangeli, la Galilea è il luogo dove Gesù ha iniziato la sua attività e proclamato il suo messaggio. Questo andare in Galilea è un verbo dinamico, di movimento e non significa naturalmente andare fisicamente. Questo perché quando si accoglie veramente il messaggio di Gesù e si traduce in comportamenti d’amore e di servizio, di condivisione e di accoglienza verso gli altri, “si sperimenta dentro di sé una potenza infinita, crescente, si sperimenta dentro di sé un’energia vitale che ci fa percepire in maniera inconfondibile che il Cristo è vivo, perché noi siamo vivi”. Innalzare il nostro amore a un livello superiore sull’esempio di Cristo, è mettere la nostra vita in sintonia con quella di Dio. Da quel momento non ci sono più dubbi, da quel momento non si crede in un avvenimento, si sperimenta! E la vita cambia completamente. Ecco che diventa normale andare a dare il messaggio “in Galilea”, la regione degli esclusi da Dio, di gente semi-pagana. È da loro che bisogna portare la Buona Notizia, da quelli considerati gli esclusi, è là che bisogna seminare. E non fra quelli che si ritengono già al primo posto nel regno dei cieli. “Eppure Gesù ha iniziato da lì la sua missione, rivolgendo l’annuncio a chi porta avanti con fatica la vita quotidiana, rivolgendo l’annuncio agli esclusi, ai fragili, ai poveri, per essere volto e presenza di Dio, che va a cercare senza stancarsi chi è scoraggiato o perduto, che si muove fino ai confini dell’esistenza perché ai suoi occhi nessuno è ultimo, nessuno escluso”. È questo il luogo in cui il Risorto chiede di andare, ai suoi apostoli e anche a noi oggi, senza aver paura. Alla fine è il luogo della vita quotidiana, delle strade che percorriamo ogni giorno, gli angoli delle nostre città… In queste realtà, il Signore ci precede e si rende presente e “condivide con noi il tempo, la casa, il lavoro, le fatiche e le speranze”. In Galilea impariamo che “possiamo trovare il Risorto nel volto dei fratelli, nell’entusiasmo di chi sogna e nella rassegnazione di chi è scoraggiato, nei sorrisi di chi gioisce e nelle lacrime di chi soffre, soprattutto nei poveri e in chi è messo ai margini”. È bello vedere e rendersi conto della grandezza e potenza di Dio manifestata negli umili, nei deboli e nei piccoli. Andare in Galilea, inoltre, è riconoscere che Gesù ha un amore senza confini. Ha un amore piantato nel mondo e capace di superare ogni confine e le barriere, di vincere i pregiudizi, avvicinare chi ci sta accanto ogni giorno. Noi cristiani dobbiamo riconoscere Cristo presente nelle “nostre Galilee”: così la vita cambierà e potrà rinascere; e saremo anche noi capaci di verità, libertà, giustizia, fraternità vera. Andare in Galilea significa qualcosa di bello, significa per noi riscoprire il nostro Battesimo come sorgente viva, attingere energia nuova alla radice della nostra fede e della nostra esperienza cristiana. Tornare in Galilea significa tornare a quel punto incandescente in cui la Grazia di Dio mi ha toccato all’inizio del cammino. “Da quella scintilla si accende una gioia umile, una gioia che non offende il dolore e la disperazione, una gioia buona, una gioia mite”.

Cara sorella, caro fratello apri il cuore con stupore all’annuncio della Pasqua: “Non avere paura, è risorto! Ti attende in Galilea”. Le tue attese non resteranno incompiute, le tue lacrime saranno asciugate, le tue paure saranno vinte dalla speranza. Perché, sai, il Signore ti precede sempre, cammina sempre davanti a te. E, con Lui, sempre la vita ricomincia.

don Alessandro Maffiolini