Gesù sostiene e conferma i suoi discepoli nell’annuncio del Vangelo che coincide con la sua persona. È Lui che noi cristiani siamo chiamati a annunciare nella condivisione del suo insegnamento, nella celebrazione della sua opera di salvezza, nella testimonianza di carità in comunione di vita e di amore. Queste realtà hanno la possibilità di guarire e donare la vera gioia: così s’imprime nelle comunità cristiane la giusta passione missionaria. Gesù stesso invita tutti a “andare” senza paura nel suo nome: questa è un’esigenza profonda che riguarda l’identità di ogni battezzato e non si riferisce al proselitismo o alla convenienza del successo e del potere. “Non sarebbe Chiesa se a vincerla fossero il timore, la stanchezza, il ripiegamento su di sé”. Il Signore, lo sappiamo, desidera la sua Chiesa quale custode appassionata del suo messaggio sempre nuovo ed entusiasmante. Attraverso la Chiesa è Gesù stesso che continua a evangelizzare e a chiamare gli uomini a sé perché trovino misericordia e pienezza di vita. Lui è e rimane il primo evangelizzatore, al quale guardare e dirigere la nostra vita per imitarlo e seguirlo sulla via della salvezza e della felicità. Dobbiamo avere chiara in noi battezzati la consapevolezza che non si può essere annunciatori senza Gesù; non si può essere cristiani senza Gesù. Certo, oggi, molti lo sono senza problemi: ma non è possibile. Infatti, non si può essere missionari senza Gesù, senza crescere nella fiduciosa amicizia con Lui, senza ripartire e ritornare a Lui. Sempre si può sperimentare l’insuccesso, legato alla povertà degli strumenti, alla chiusura dei destinatari o, forse, a un’insufficiente”amicizia” con Gesù. Nonostante questo, l’annuncio del Vangelo, non deve trasformarsi in ansia o desiderio di prestazione. Nemmeno in improvvisazione o sentimentalismo; è necessario abbandonare anche la tentazione “troppo umana” di confidare troppo sulle nostre abilità o sull’eccessiva programmazione o format nuovi. Se non permettiamo agli altri di incontrare Cristo nella nostra vita, nelle nostre scelte, attraverso la nostra testimonianza coerente e bella, non otterremo alcun frutto, perché è sempre e solo Cristo che attrae tramite i suoi fedeli. Infatti, tutto l’impegno missionario che i cristiani mettono nella loro vita, ha lo scopo di affermare Cristo e l’avvento del regno. Questo ci aiuta a ricordare che gli uomini non sono padroni delle fede o di Dio, bensì servitori dei fratelli e sorelle e della loro gioia che sgorga dall’incontro con Cristo. “La missionarietà è prima di tutto un respiro, un orizzonte, che diventa apertura di mente e di cuore, atteggiamento ospitale e accogliente di prossimità e di cura. È uno stile da imprimere alla vita personale e comunitaria”. E in questo non sono solo i sacerdoti a cambiare, ma è la comunità stessa sollecitata dal Consiglio Pastorale Parrocchiale: è il suo compito che ne segna la necessità di averlo, ma soprattutto di consultarlo e decidere insieme. Missione richiama sinodalità, la necessità di camminare insieme: altrimenti tutto è perduto e diventa solo uno stile di conservazione. Questo, alla lunga, non porta a nulla, se non convincere le persone che il Vangelo è inutile, perché non cambia la vita e non conduce alla gioia della fraternità. È un camminare insieme, con umiltà, entrando in sintonia profonda con le persone che il Signore ci mette accanto. “È coraggio, capacità di osare, di non tacere, nella libertà di dire ciò in cui si crede” e per il quale si dona la vita. Allora avanti senza paura: chi accoglie gli annunciatori, accoglie anche Cristo che giunge a loro.

don Alessandro Maffiolini