Uomini incapaci di parlare, ascoltare, decidere insieme per il bene dei fratelli. Uomini che chiudono i confini della propria esistenza ai bisogni e alle sofferenze degli altri. Uomini alla continua ricerca di qualcosa che riempia il cuore e che sembra scivolare loro dalle mani. Una pandemia che continua a galoppare in tutto il mondo (Africa, Asia, America latina fanno parte del mondo) e che è difficoltoso fermare se si pensa solo a se stessi e alla propria nazione.

Cara lettrice, caro lettore, siamo chiamati anche quest’anno a ricorrere alla nostra memoria per far riaffiorare in noi le parole del Maestro e riallacciare quel filo magari spezzato di comunione con Dio e tra noi. “Non è qui, è risorto, come aveva detto”. Solo così quelle parole attendono un cuore capace di farle fruttificare. Gesù ha ormai compiuto il suo cammino, ora, “in quel vuoto che si è prodotto”, sono altri che devono iniziare il loro cammino e lo possono iniziare solo con il lavoro della memoria delle parole ascoltate da Gesù. E noi siamo tra questi. Non dobbiamo credere che la pandemia possa dimezzare la Pasqua, renderla una Pasqua a metà: la potenza della Risurrezione rimane intatta e necessità di una dose maggiore di adesione personale e comunitari. Celebrare la Pasqua significa credere nuovamente che Dio irrompe e non smette mai di irrompere nelle nostre storie, “sfidando i nostri determinismi uniformanti e paralizzanti. Celebrare la Pasqua significa lasciare che Gesù vinca quell’atteggiamento pusillanime che tante volte ci assedia e cerca di seppellire ogni tipo di speranza”. Ricordando le parole dette da Gesù, ora, come i discepoli, possono riconoscere Gesù “unico Signore e Maestro” e ritrovare finalmente la verità della nostra vita: siamo fratelli e sorelle in Cristo. Nonostante la pandemia, allora, la Pasqua ha la capacità di trasformare ogni battezzato, le comunità e la Chiesa intera in annunciatori coerenti e fiduciosi della Risurrezione e della gioia. Una gioia che è totale e non a metà: la Risurrezione non ammette la sottrazione o divisione, ma solamente la moltiplicazione. La pietra del sepolcro ha fatto la sua parte, le donne hanno fatto la loro parte, adesso l’invito è rivolto ancora una volta a voi e a me: invito a rompere le abitudini ripetitive, a rinnovare la nostra vita, le nostre scelte e la nostra esistenza. “Un invito che ci viene rivolto là dove ci troviamo, in ciò che facciamo e che siamo; con la “quota di potere” che abbiamo”. La risposta alle tante domande di senso che abbiamo è più vicina di quanto si possa pensare. Provate a credere almeno per un istante che Pasqua non è una favola, ma l’incredibile, terribile, spaventosa, meravigliosa realtà. È la vita che trionfa sempre, anche contro la morte, la sofferenza, l’odio degli altri. Allora non rinchiudiamoci nel pessimismo, non fuggiamo dalla realtà. Apriamoci alla Risurrezione senza paura, apriamo le porte del nostro cuore a Cristo Signore. Il mio augurio è semplice: nella vita di ogni giorno, con le sue gioie e tristezze, non viviamo come “quelli che non hanno speranza”, ma che “manteniamo senza vacillare la professione della nostra speranza”. Questo perché anche in questi giorni di sofferenza e di fatica, gli auguri che ci scambieremo di una “buona Pasqua” non siano uno slogan vuoto, ma esprimano la salda speranza, che si alimenta alla vittoria di Gesù sulla morte, sul male e alla promessa del Padre di Gesù di “quei cieli nuovi e terra nuova, in cui abita la giustizia”, tanto attesi da tutti.

don Alessandro Maffiolini