Abbiamo da pochi giorni celebrato, forse con poca enfasi e un poco in “sordina” la festa di san Benedetto. È ritenuto il patriarca del monachesimo occidentale. Dopo un periodo di solitudine presso Subiaco, passò a una forma di vita comunitaria approdando a Montecassino. La sua Regola ha aperto una via nuova alla civiltà europea dopo il declino di quella romana. In questa scuola di servizio del Signore ha un ruolo importante la lettura meditata della parola di Dio e la lode liturgica, alternata con i ritmi del lavoro in un clima intenso di carità fraterna e di servizio reciproco. Nel solco di San Benedetto sorsero nel continente europeo e nelle isole centri di preghiera, di cultura, di promozione umana, di ospitalità per i poveri e i pellegrini. Paolo VI nell’ottobre del 1964 lo proclamò patrono d’Europa. L’intento era di stimolare i popoli europei a creare un’unità nuova e duratura. Sono certo importanti gli strumenti politici, economici e giuridici, ma “occorre anche suscitare un rinnovamento etico e spirituale che attinga alle radici cristiane del Continente, altrimenti non si può ricostruire l’Europa”. Non è possibile costruire una comunità autentica e fraterna. Infatti, San Benedetto ha creato una società giusta, la società dei benedettini era una città giusta, guidata dalla Regola, in cui sono offerte indicazioni utili non solo ai monaci, ma anche a tutti coloro che cercano una guida nel loro cammino verso Dio e nell’incontro con i fratelli e le sorelle. Benedetto ci spinge a lavorare per una società più equa. L’Europa, e ogni comunità parrocchiale e diocesana, sarà realmente cristiana se ritroverà l’importanza della giustizia, dell’eguaglianza, della sostenibilità e dell’accoglienza. “Abbiamo bisogno di una giustizia inter-generazionale”: dobbiamo lasciare a quanti verranno dopo di noi, una “terra nella quale possano abitare, vivere, essere felici e trovare il senso della loro vita”. E diverse volte l’Europa e le nostre comunità non sono capaci di portare questi frutti. Troppa paura esiste ancora nella possibilità di perdere potere, autorità, tranquillità personale e ci dimentichiamo degli altri. È più facile fare soffrire chi è vicino a noi o chi apparentemente non ci crea problemi (lo consideriamo debole), che mettersi a lottare per la giustizia, la verità e la fraternità. La pandemia ha messo in mostra tutta le criticità di un’Europa non fondata su valori cristiani condivisi, ma solo su “parole e parole” e impegni rimasti sulla carta e non mantenuti. Ogni cristiano, guardando a san Benedetto, deve avere il coraggio di scegliere con determinazione uno stile di vita che non è alla moda, per il quale non ci si preoccupa di avere l’approvazione dell’opinione pubblica o la “pace del cuore” a discapito del Vangelo e della fraternità. “Noi non possiamo essere cristiani senza avere nel cuore la gente che ha bisogno d’aiuto”. E spesso i primi li abbiamo al nostro fianco. E tu caro lettore, cara lettrice, a che punto sei nel cammino del Vangelo percorso da san Benedetto? Non avere paura di quanto sembrano forti o sono pronti a diffamarti o a gridare contro di te. “Noi abbiamo, come cristiani, molto da annunciare e da fare per il nostro tempo”. Dobbiamo annunciare la “verità sull’uomo”, come amava dire Giovanni Paolo II, e dobbiamo impegnarci per l’unità della famiglia umana e l’unità della Chiesa. Di fronte al rischio di una crisi epocale dobbiamo comportarci come san Benedetto: pregare e lavorare per la rinascita del nostro Paese, del nostro continente, della nostra civiltà, della nostra comunità parrocchiale.

don Alessandro Maffiolini