Con il Covid-19 abbiamo compreso definitivamente di essere tutti davanti a un cambiamento d’epoca, in cui quasi nulla è e sarà come prima. Siamo ormai inseriti in un mondo e in un’Italia profondamente cambiati e diversi da quelli di alcuni anni fa. Sorgono nuove sfide cui dare risposte “nuove” e coraggiose. Nonostante la pandemia e i tentativi di ricordare di essere tutti sulla stessa barca, notiamo sempre più, in quanto ci circonda, “una tristezza individualista che scaturisce dal cuore comodo e avaro, dalla ricerca malata di piaceri superficiali, dalla coscienza isolata”. Davanti a questo abbiamo un Vangelo che ci esorta a vedere questo mondo con uno sguardo nuovo, uno sguardo di amore e di misericordia, capace di riconoscere attorno a se fratelli e sorelle da accogliere e da amare. È necessario allora compiere una bella conversione ed essere disponibili a fare la nostra parte con responsabilità e comunione vera. Sono quindi importanti alcune bussole da tenere presenti. Innanzitutto, è ovvio, siamo chiamati a essere una Chiesa e comunità a servizio di un’umanità ferita e continuamente colpita. E la prima missione dei cristiani consiste “nell’annuncio del Vangelo nella sua stupenda, radicale e rivoluzionaria semplicità. Un annuncio gioioso, come ci ricorda il Papa, che punti all’essenziale, al kerygma perché non c’è nulla di più solido, di più profondo, di più sicuro, di più consistente e di più saggio di tale annuncio”. Diverse cose si stanno facendo, ma occorre rafforzare e velocizzare il cammino per arrivare a tutti. Uno dei fatti più belli della Chiesa è di avere qualità e forme diverse. In questo tempo di particolarismi e cedimento dei legami ci può essere la tentazione di andare ciascuno per la propria strada. “Isolarsi è una tendenza che può entrare anche all’interno della Chiesa ma che va allontanata con decisione: un corpo è vivo solo se tutte le membra cooperano tra loro. Nessun membro del corpo può vivere da se stesso”. È consigliato quindi far crescere sempre più l’unità nelle differenti realtà: questo ci rende credibili e capaci di attrarre altri sul cammino dell’incontro con Cristo. “Chi dialoga non è un debole ma è, all’opposto, una persona che non ha paura di confrontarsi con l’altro”. Accanto a tutto questo ci sta anche a cuore il coltivare una cultura dell’incontro e della vita che arrivi ad avvolgere l’umanità intera, compresi gli esclusi di oggi. Il Papa con la Giornata dei Poveri ci richiama san Francesco che si toglie il mantello per darlo a chi è nel bisogno. Perché i poveri, anche se non fanno notizia, ci lasciano scorgere e incontrare il volto di Cristo. Non è una strada facile, anzi… non occorre dimostrare quanto siamo importanti. Continuiamo a fare il bene, a credere in Gesù per essere suoi testimoni. Quando sentiamo il male intorno a noi, quando sentiamo di non essere apprezzati anche da chi vogliamo bene, non dobbiamo scoraggiarci né deprimerci, ma continuare a “a essere amabili, a stare in mezzo al popolo, a salutare con affetto anche chi vi ignora, a soccorrere con generosità anche coloro che vi hanno fatto del male e hanno detto male di voi e ora si trovano nel bisogno”. Non entriamo nella frenesia del fare: alla fine non porta al Vangelo ma da altre parti. Continuiamo a fare quanto possiamo, fidandoci di Dio e cercando di camminare insieme con gli altri. A poco a poco riusciremo a maturare come figli di Dio e ad agire con consapevolezza maggiore nella vita di ogni giorno e portare a tutti la novità del Vangelo.

don Alessandro Maffiolini