In questo mese missionario abbiamo la possibilità di riscoprire il centro della testimonianza del cristiano: è la nostra capacità di acquisire, a poco a poco, lo sguardo che fu di Gesù. È vedere Dio come l’ha visto Gesù. Questo significa, per prima cosa, accogliere la buona notizia che è al centro del Vangelo e cioè la rivelazione della paternità di Dio. Capiamo quindi la necessità per Gesù di concentrare il suo insegnamento nel comandamento dell’amore. La nuova legge è l’amore: è Dio che deve essere considerato, visto e amato per primo, con tutto se stessi e poi il prossimo con quell’intensità di amore con cui ci prendiamo cura di noi. Altrimenti rischiamo di pensare di essere noi Dio e di essere quindi indispensabili: tutto ruota attorno a noi stessi e al nostro desiderio di metterci in mostra. Gesù puntualizza l’ordine con cui l’amore va esercitato. “È Dio che va amato per primo, perché è da Lui – dalla sua paternità – che possiamo ricevere vero riscontro della bontà del nostro essere e così poter andare generosamente incontro all’altro e lasciare che l’altro venga incontro a noi senza dovere accedere ad alcun ricatto”. Diventa così più semplice accogliere nella differenza. Essere testimoni, quindi, che Dio è Padre di ciascuno e di tutti: nessuno è lasciato a se stesso o in balia del male.

A questo punto diventa chiaro la necessità di cambiare e testimoniare uno sguardo diverso di vedere il mondo. Gesù ha visto le cose non solo per quello che erano, ma anche nella loro possibilità di trasformarsi in qualcosa di bene e buono. La costruzione del regno di Dio diventa segno di un’umanità che non si regge sulla lotta di alcuni contro altri, che non sfrutta la debolezza dei molti a vantaggio dei pochi, “che non pone continuamente in essere condizioni di vita talmente degradanti da far desiderare a milioni di esseri umani la fine della vita”. Dalla paternità di Dio nascono cammini di riconciliazione capaci di rinnovare il mondo intero. Il primo passo, certamente, può diventare la nostra famiglia, i gruppi di cui facciamo parte, la nostra comunità. Ricostruire la pace perché si è figli e figlie dell’unico Padre che è nei cieli. Questo è ancora più importante di averla vinta sempre noi. È testimoniare chi siamo realmente. L’ingiustizia non è il marchio definitivo della storia. Il male è già stato sconfitto e lo sarà nuovamente alla fine dei tempi; noi, però con la nostra vita abbiamo la possibilità di anticipare questa vittoria già oggi. “Ecco il regno di Dio in presa diretta: esso è la radicale possibilità di immaginare un mondo diverso, un mondo semplicemente più umano”. E noi battezzati testimoniamo ciò a partire dalla dirompente notizia che dinanzi al cuore di Dio ognuno di noi vale molto più di quanto la mentalità odierna possa pensare. Qui si radica il senso e il compito di noi credenti: testimoniare ed essere profetici annunciatori che altri possono ancora oggi incontrare Gesù nel Vangelo e venire associati a quanti non si stancano di ascoltare il sogno del maestro di Nazareth, il sogno del regno di Dio. È il sogno di un mondo sempre più umano.

Il Papa ci ricorda con chiarezza come la fede cristiana è fede in un Dio che si è fatto così vicino da entrare nella nostra storia. La fede nel Figlio di Dio fatto uomo non ci separa dalla realtà, ma ci permette di cogliere il suo significato più profondo. “Di scoprire quanto Dio ama questo mondo e lo orienta incessantemente verso di Sé; e questo porta il cristiano a impegnarsi, a vivere in modo ancora più intenso il cammino sulla terra”.

don Alessandro Maffiolini