Grazie soprattutto al Vaticano II e anche al XXI Sinodo della Chiesa Novarese, siamo davanti alla possibilità di trasformare le nostre parrocchie da realtà statiche con lo scopo di “conservare“ il salvabile, a luoghi del rinnovamento per annunciare a tutti il Vangelo di Cristo. È una possibilità che va colta: aspettare e salvaguardare il passato come fosse un animale raro e a rischio di estinzione, produce solo un indebolimento della comunità stessa e una crisi sempre più accentuata nella fraternità laicale e sacerdotale. È più facile dire “non me la sento” o “con me è così”: cosa ne è della dignità di figli di Dio e di quanto lega i battezzati e i sacerdoti tra loro? Nulla. Tutto è “buttato via” per una comodità inutile e solamente dannosa. Occorre il coraggio di un cambiamento autentico, concedendo alle persone più convinte la possibilità di mettere in pratica questi inviti che il Vangelo continuamente ci rivolge. Questo spetta prima di tutto al Vescovo e ai vicari episcopali (di settore o del territorio), suoi primi preziosi collaboratori e consiglieri: anche loro sono chiamati da Dio a uscire da certe logiche che hanno guidato le Diocesi nei decenni passati, ma che oggi non hanno ragione di esistere, perché danneggiano la fraternità tra i presbiteri e le relazioni col Pastore e Padre della Chiesa Locale. Il primo vero rinnovamento parte da qui, vescovo e sacerdoti: altrimenti il resto, per quanto encomiabile e pensato, non ha la forza sufficiente e la credibilità di modificare la mentalità e le scelte concrete. Sono attività che si fanno, alcune volte quasi “obbligati”, certi del loro successo (perché le mettiamo in pratica e le vogliamo noi). Il pericolo è che siano una mera meteora nella pastorale diocesana o parrocchiale, una tantum, ma che non dicano niente al cuore della gente e quindi non incidano sulle scelte ne immediate ne future. È necessario arrivare a riconoscere che “gli altri” sono persone nelle quali è presente veramente Dio e non oggetti o solamente numeri con cui rapportarsi in modo asettico e disinteressato solo in caso di necessità e senza alcuna progettualità precedente. Quante volte siamo davanti a comportamenti che preferiscono la pura autorità, dimenticandosi che Cristo è autorevole, non autoritario. Questo è possibile solo attraverso un dialogo onesto e sincero, vissuto senza paura di ritorsioni o vendette (parlare di ciò, nella Chiesa Cattolica, è strano); un ascoltarsi a vicenda, considerandosi fratelli e figli di Dio. Nessuno può essere valutato “figlio di un dio minore” o persona meno importante di un’altra. Per camminare insieme vanno messi da parti favoritismo, “amicizie”, doppiogiochismi e tutti quei comportamenti messi in campo solo per creare una “simpatia” a nostra pura convenienza. Certo, tutto questo è normale, si vede con chiarezza e corrisponde a una certa consuetudine presente in molti cristiani. È a rischio il coinvolgimento e la partecipazione di tutto il Popolo di Dio alla vita e alla missione della Chiesa. La comunità, compreso parte del clero, si sente poco partecipe nelle decisioni della Diocesi e della Parrocchia, come se fossero organismi estranei che non possono in alcun modo trovare una simbiosi positiva e costruttiva. Tutti dobbiamo arrivare a scegliere di “camminare insieme” costantemente per discernere, alla luce della Parola di Dio e in ascolto dello Spirito Santo, le questioni che via via si presentano per la vita della Diocesi e della Parrocchia. È uno stile nuovo: è l’unico che può guarire e ridare vigore alle nostre comunità.

don Alessandro Maffiolini