La cecità consiste in una percezione ottico-visiva ridottissima o nulla e può essere congenita, derivare da gravi affezioni dell’apparato visivo oppure da un trauma. Posta questa definizione, è evidente come molti cristiani siano ciechi: cercano una felicità della quale ignorano il vero volto o scelgono liberamente delle strade che li allontanano dalla fonte della luce. Molte volte diciamo che “le cose” non vanno e che la nostra società è in una forte crisi economica, di valori, di relazioni, di lavoro. La vera crisi è però quella della vita interiore. Quante persone sono superficiali, pronte alla disputa, alle critiche, a giudicare e a distruggere quanti sono diversi da loro o non conformi alla propria volontà. Molti battezzati non riescono più a riconoscere Gesù: chiudono gli occhi all’incontro con Lui; sono cioè ciechi. È la cecità del cuore, di un cuore incapace di amare, di alzare lo sguardo, di andare oltre se stesso e il proprio egoismo. In questo modo la vista si ammala, inizia a diminuire finche non scompare del tutto. Nel nostro cammino, siamo invitati ad aprirci alla luce di Cristo per portare frutto nella nostra vita, per eliminare i comportamenti che non sono cristiani.

Tutti noi ci diciamo cristiani solo per aver ricevuto il Battesimo, ma tutti noi poi molte volte abbiamo comportamenti non cristiani, che fanno ‘perdere diottrie’ alla nostra vista. Dobbiamo innanzitutto riconoscere questo calo di vista e intraprendere una cura: eliminare tali comportamenti che spezzano l’unità tra vita e fede. Sembra difficile. Se ci ricordiamo che l’umanità è creata a immagine e somiglianza di Dio e che quindi ogni persona riflette il volto del Padre, è più comprensibile la possibilità di guarire. Occorre solo “comportarsi come figli della luce” e camminare sulla via del Vangelo ogni giorno, senza paura e facendosi aiutare.

Umiltà, pazienza, misericordia, coraggio, coerenza sono solo alcune caratteristiche della “medicina” che il Vangelo ci pone davanti e che la Chiesa continuamente ci propone. Essere figli esige un cambiamento radicale di mentalità, una capacità di giudicare gli uomini e le cose secondo un’altra scala di valori, che viene da Dio. Allora diventiamo in grado di riconoscere la bellezza dei volti, dei colori e delle cose che ci circondano: è una bellezza che esiste, che c’è, ma che non vediamo più perché siamo ciechi e incapaci di essere nella gioia.

Gesù non ha paura di fermarsi e di riconoscerci fratelli e sorelle da amare sempre e comunque. Lui entra in relazione con noi perché solo così ci permette di esistere veramente e di vedere chiaramente con i nostri occhi. Vedere implica oggi lasciar perdere di rincorrere una perfezione di forma che spesso impedisce di entrare in comunione con gli altri e ricercarne una di sostanza, magari imperfetta, ma molto più comprensibile da tutti. In questo modo i nostri occhi si aprono alla luce e possiamo portare questa stessa luce a quanti incontriamo. Un modo è il riconoscere la presenza degli altri nella nostra vita, non dei nemici o avversari, ma dei fratelli con cui condividere un cammino serio, attraverso cui poter, a nostra volta, “essere luce”. Una luce riflessa, ma sempre disponibile a illuminare e ad aiutare ad abbandonare le false luci: il pregiudizio, la chiacchiera, la condanna, la chiusura della vita agli altri. Non valutiamo più in base all’interesse personale, al criterio dell’utile e del piacere, ma ricerchiamo relazioni vere, capaci di aprire la vita a tutti.

Solo in questo modo siamo persone che ‘ci vedono’ e che, partendo dalla nostra povertà e pochezza, sono pronte a essere portatrici di un raggio della luce di Cristo.

Alessandro Maffiolini