Nel tempo di Avvento risuona forte l’annuncio che Gesù è vicino: diventa invito pressante a cambiare le condotte di vita non coerenti con la sua venuta. Ma è anche un annuncio che solleva il nostro sguardo verso l’alto: la gioia è un’esperienza di percezione che nasce da un modo diverso di vedere le cose e dallo sperimentare il loro cambiamento. È lo Spirito Santo, la sorgente della gioia che cambia la vita, ribalta le logiche della storia e fa ardere i cuori dei fedeli. Questo permette di riconoscere la presenza di un Dio con noi e la promessa di un Dio che viene e cammina con noi. È opportuno allora eliminare l’equivoco che vede la fede e la spiritualità cristiana come lontane dalla gioia o, addirittura, sue nemiche: nella vita cristiana è fondamentale la gioia. “Certo, non esiste il dovere di essere felici: casomai è una certa mentalità mondana che spinge le persone a mostrarsi sempre “su di giri” e a nascondere tristezze e dispiaceri. Per il cristiano, però, la gioia interiore è segno della presenza dello Spirito Santo, anche in mezzo a sofferenze, prove, dolori”. Rallegriamoci tutti. Isaia è inviato a portare il lieto annunzio ai poveri, perché il Signore fa germogliare la giustizia e la lode. Il Messia stesso gioisce perché attraverso di lui il Signore ha reso possibile la sua opera. È la gioia del Battista che dà testimonianza alla luce e riconosce la grandezza di Colui che deve venire ed è già in mezzo agli uomini. È la gioia dei discepoli che formano una comunità. “E, nonostante conflitti e persecuzioni, sperimentano cosa sia la pace, quella pace che non è sinonimo di tranquillità, ma di pienezza che investe ogni aspetto dell’esistenza”. A ognuno diventa evidente come solo l’abbandonarsi e affidarsi totalmente a Dio permette di crescere in noi la serenità, la gioia e la pace del cuore. Infatti, “ciò che i cristiani sanno dare al mondo non si misura con il metro dell’efficacia delle organizzazioni, ma in base a uno stile di vita nuovo che infonde speranza, elargisce gioia e estromette la tristezza”. La gioia ci apre al fratello e alla sorella che riconosciamo intorno a noi. Bello è citare Papa Francesco in una sua esortazione apostolica: “Solo grazie a quest’incontro – o reincontro – con l’amore di Dio, che si tramuta in felice amicizia, siamo riscattati dalla nostra coscienza isolata e dall’autoreferenzialità. Giungiamo a essere pienamente umani quando siamo più che umani, quando permettiamo a Dio di condurci al di là di noi stessi perché raggiungiamo il nostro essere più vero. Lì sta la sorgente dell’azione evangelizzatrice”.

L’Avvento è il tempo della gioia spirituale durante il quale si cammina con lo sguardo rivolto in avanti, il tempo del risveglio che favorisce l’apertura del cuore a Cristo che viene. Ci sono ostacoli che non permettono di accogliere il Signore: l’egoismo, il non sapere gioire per le piccole cose quotidiane, la distrazione e la superficialità, la mancata disponibilità all’accoglienza, la sfiducia e i pregiudizi, la poca gratuità… Paolo infonde speranza con queste parole: «Pregate ininterrottamente… Non spegnete lo Spirito, non disprezzate le profezie. Vagliate ogni cosa e tenete ciò che è buono. Astenetevi da ogni specie di male» (Seconda Lettura). Nell’affidarsi e nell’abbandonarsi a Dio Padre nascono la serenità, la gioia e la pace del cuore. Ciò che i cristiani sanno dare al mondo non si misura con il metro dell’efficacia delle organizzazioni, ma in base a uno stile di vita nuovo che infonde speranza, elargisce gioia e estromette la tristezza. Diceva san Filippo Neri: «Tristezza e malinconia fuori di casa mia». La fede e la gioia che caratterizzano la vita di ogni credente devono far nascere il desiderio di aderire ogni giorno alla volontà del Signore ed esprimere la bellezza di essere cristiani. Perché i ragazzi e i giovani sentono la “pesantezza” di essere battezzati e cresimati? Perché davanti a loro non c’è sempre la serenità di vivere e testimoniare la fede. L’appartenenza a una Comunità cristiana, alcune volte, lascia trasparire la noia nel partecipare alla celebrazione domenicale e l’assenza dell’entusiasmo di incontrarsi con il Risorto e con i fratelli. L’Avvento, e con esso tutta la nostra vita, sia sempre un cammino di gioia.

L’intervento di Gesù nella storia genera attorno a sé un’atmosfera di entusiasmo e di gioia. Gesù è l’iniziatore definitivo di questa gioia che viene dall’alto e che è dono dei Padre: «In questo sta l’amore: non siamo stati noi ad amare Dio, ma è lui che ha amato noi» (1 Gv 4,10). Il “Magnificat” della Vergine Maria esprime meravigliosamente la tonalità fondamentale della gioia cristiana (Salmo responsoriale). Però occorre non ingannarsi: il rendimento di grazie non è l’atteggiamento passivo di uno che riconosca soltanto che tutto gli viene dall’alto; è la gioia di chi scopre di essere chiamato a contribuire all’edificazione del mondo, nella prospettiva stupendamente sintetizzata dal II Prefazio dell’Avvento: «Lo stesso Signore, che ci dona di prepararci con gioia al mistero del suo Natale, ci trovi vigilanti nella preghiera, esultanti nella sua lode». Il cristiano sente di vivere sulla terra un’esistenza uguale a quella di qualsiasi altro uomo, ma di avere in più una certezza di salvezza ed un senso della storia che gli permettono di riconoscere in tutti gli avvenimenti il Regno che viene. Questo gli procura una gioia profonda che egli testimonia non fuggendo la propria condizione ma considerandola come una tappa della venuta del Signore. Diventa così il segno reale della venuta del Signore.

Cosa significa tutto ciò per noi, per le nostre Comunità? Il cristiano, rinnovando il memoriale del sacrificio della croce, è convinto che il suo comportamento di mitezza e di bontà manifesta la venuta del Signore nel mondo; rinuncia, perciò, a dare testimonianza di Dio nella potenza e nel trionfalismo delle istituzioni. La Celebrazione Eucaristica, inoltre, non può dar luogo solo ad una gioia puramente umana di un incontro fra uomini già fratelli per affinità di razza, di ambiente sociale o di interessi comuni; occorre aprire le nostre Comunità eucaristiche alle ricchezze della diversità umana. La gioia allora sarà forse meno spontanea, ma più vera.

don Alessandro Maffiolini