La virtù della penitenza

La penitenza è una virtù che non nasce né si esaurisce con il relativo sacramento, ma affonda le sue radici nella profondità dei sacramenti dell’Iniziazione Cristiana. Va continuamente rinnovata per permetterci di esercitarla nella vita cristiana.

Anche nella storia della Chiesa, la penitenza conosce una pluralità di forme attraverso cui i fedeli esprimono il proprio bisogno di cambiare vita e lasciarsi interpellare dalla Parola di Dio. Siamo davanti non tanto ad un impegno, ma ad un dono offerto a chi è nel peccato: non siamo noi a decidere di convertirci, non è frutto delle nostre abilità. A noi la scelta di accogliere il dono, di salvaguardarlo, impegnandoci a farlo crescere e permettendo a Dio di convertirci.

Fare penitenza è alla portata di tutti, nessuno escluso; può essere un cammino difficile, faticoso, ma che può essere percorso da ogni battezzato. Il sacramento diventa una tappa necessaria in cui abbiamo urgenza di fermarci per ritrovare la strada perduta e possiamo assumere quella medicina che può guarirci dal nostro egoismo e aiutarci a ristabilirci dai peccati. La penitenza quindi è uno stato che noi dobbiamo ricercare, trovare, vivere: è l’essere penitenti, cioè persone che scelgono di ritornare a Dio e che riparano le colpe commesse compiendo scelte conformi al Vangelo.

In tutto ciò la vita dei Santi è luce che ci guida sulla via: essi sono campioni eroici che la Chiesa pone alla nostra considerazione e monito affinché noi, seguendo il loro esempio, possiamo camminare sulla strada di Dio. La penitenza non solo fa riflettere sul passato, ma è apertura sul presente. La penitenza-virtù spinge all’accusa dei peccati, mettendosi a confronto non solo con il giudizio di Dio, ma col giudizio della comunità a cui si appartiene e che con il proprio errore abbiamo ferito. L’accusa non è autolesionismo, ma un vero e proprio atto di lealtà che si trasforma in impegno concreto alla riparazione. Il giudizio che Dio formula sul penitente è connesso con questo confronto. Là dove uno non si confronta e crede di potersi regolare da solo con Dio, è un isolato che non ha capito che il Signore arriva a lui per mezzo della comunità.

Alla fine accostarsi al sacramento è fare un qualcosa con cui ci si deve trasformare, e la penitenza deve già essere in maturazione in noi, altrimenti il sacramento diventa un rito esterno che non tocca l’uomo nella sua vita.

 

Per accrescere la conversione

La conversione nasce dal cuore ma non rimane chiusa nell’intimo dell’uomo: si manifesta con opere esterne, mettendo in gioco la persona intera, anima e corpo. Fra le forme di penitenza, sono da evidenziare anzitutto quelle incluse nella celebrazione dell’Eucaristia e quelle della Confessione che è stata istituita da Gesù Cristo per farci uscire vittoriosi nella lotta contro il peccato. Il cristiano ha molti altri modi di mettere in pratica il desiderio di conversione.

Il cammino di rinnovamento prende avvio ogni giorno dall’incontro con la Parola di Dio che si rende concreto nell’ascolto e nella meditazione della Scrittura. Spesso abbiamo poca familiarità con Essa, ma è rivolta ogni giorno a noi e ci interpella a verificare la nostra vita per vedere se sta procedendo secondo la volontà di Dio. Solo la Parola è luce e lampada per la nostra vita. I Padri della Chiesa insistono soprattutto su tre forme: il digiuno, la preghiera, l’elemosina, che esprimono la conversione in rapporto a se stessi, in rapporto a Dio e in rapporto agli altri. A queste tre forme sono riconducibili tutte le opere che ci permettono di correggere lo sconvolgimento del peccato.

Preghiera e fede vanno di pari passo e non devono essere ritenute acquisite per sempre: hanno bisogno di essere nutrite, coltivate e rinvigorite ogni giorno per poterle trasmettere. Per questo vanno incarnate e tradotte in opere: è l’elemosina, cioè l’avere compassione, il soffrire con l’altro per sollevarlo dal suo dolore. Non va ridotta al superfluo o a pochi soldi, ma è lo slancio che nasce dal cuore ferito dalle sofferenze dei fratelli e pronto a donare con gioia ciò che a loro manca. Legato a ciò emerge un’altra forma di rinuncia, quella del digiuno, che permette di lavorare e smussare il proprio egoismo. Non è solo la rinuncia moderata al piacere del cibo, ma anche a tutto ciò che ci fa essere esigenti col corpo non dandogli qualche piacere, per dedicarci a quello che Dio ci chiede per il bene degli altri e nostro. Così si riscoprono le vere priorità e si ritrova l’essenziale della vita.

Infine possiamo aggiungere il pellegrinaggio. Non occorre pensare subito ai viaggi verso luoghi sacri: esiste un significato più profondo. La vita stessa è un pellegrinaggio da percorrere con forza fino alla meta desiderata. Fare penitenza è allora un cammino quotidiano verso la conversione, sostenuti e accompagnati dal Signore.

A cura di Alessandro Maffiolini