Una cosa sorprendente

Chiamare il quarto sacramento col nome di “confessione” è molto riduttivo, perché si pone l’accento solo su una sua parte che è enfatizzata: il rischio è il semplificare sul dire un elenco di peccati. Il Concilio ci ricorda che sacramento della Penitenza o Riconciliazione è il nome corretto e migliore. Esso richiama la necessità di un sincero pentimento e il desiderio di convertirsi: è rispondere alla voce del Padre che ci chiama continuamente alla conversione e a rendere la nostra vita simile al Vangelo. È permettere a Dio di amarci e di trasformare di conseguenza la nostra esistenza per diventare a nostra volta Suoi strumenti di misericordia. Un’altra cosa strana è che il confessionale non è una sala di tortura come qualcuno pensa o esprime dicendo la propria difficoltà a “dire i peccati”: è il luogo della Misericordia di Dio che ci spinge a compiere tutto il bene possibile. Siamo accolti con gioia, carità fraterna e dolcezza per manifestare subito l’identità chiara del Dio cristiano. La Chiesa a questo punto non chiede subito i nostri peccati, ma propone, in modo facoltativo, una breve lettura della Parola di Dio, per indicarci che chi ci giudica non è un uomo ma Dio stesso che agisce tramite la Sua Chiesa e che dovrebbe essere sempre la Parola a illuminare il nostro cammino. Capiamo così che non siamo in un semplice “colloquio di cronaca della nostra vita”, ma nel luogo in cui proclamare i nostri peccati gravi e quelli leggeri che indeboliscono il nostro spirito. Il sacerdote allora è realmente il rappresentante del Padre Buono che ci propone un impegno per esprimere e confermare la nostra volontà di migliorare la vita. È un segno di conversione che non va ridotto a una semplice preghiera. Quest’ultima è indispensabile, ma per essere tale richiede di trasformarsi in gesti concreti: è la prova chiara che abbiamo il desiderio di aprire il nostro cuore al suo amore e la nostra carità ai fratelli. In questo modo ci avviamo sulla strada del riparare i danni arrecati dalle nostre scelte e andare contro corrente. Solo alla fine riceviamo il perdono di Dio. L’imposizione delle mani da parte del sacerdote sul capo del penitente con la formula di assoluzione è l’espressione con cui la Chiesa comunica il perdono di Dio. È bello infine perché tutta la Trinità interviene nella Misericordia: al termine è possibile innalzare insieme un rendimento di grazie con brevi parole per quanto ottenuto. Solo così ci rialziamo realmente e continuiamo la nostra vita cristiana.

Penitenza, molteplici forme

Nella pratica normale il sacramento della riconciliazione si svolge in forma privata nel confessionale e davanti a un sacerdote. Sappiamo che non è sempre stato così. Per cinque secoli l’ammissione di colpe molto gravi avveniva nel segreto; i penitenti erano esclusi dall’assemblea eucaristica fino alla riconciliazione che avveniva in una Liturgia presieduta dal Vescovo. Si voleva rilevare visibilmente come il peccato grave, anche quello nascosto, feriva la comunità intera e la privava dell’amore che ogni battezzato può dare ai fratelli. Si evidenziava inoltre che la comunità dei fedeli è parte lesa dai nostri peccati e diventa anche lo strumento con cui ci raggiunge la misericordia di Dio: ogni peccato diventa sempre un disprezzare l’essere umano. Nessun sacramento e nessuna celebrazione liturgica sono privati, anche quando la presenza della comunità è ridotta al minimo o la celebrazione è fatta senza alcuna persona ad assistervi. La mediazione della Chiesa rimane sempre. Il peccato è un qualcosa di diabolico, nel senso che divide da Dio, dalla Chiesa, Suo Corpo, e dai fratelli. Un altro nome di questo sacramento è Riconciliazione, perché ricostruisce le relazioni distrutte. Per questo motivo, dal Concilio, il rito della penitenza prevede la possibilità di celebrare questo sacramento “insieme”. È l’inserire la confessione nell’ambito più vasto dell’assemblea liturgica, dove insieme si prega, si ascolta la Parola di Dio, si esamina la propria vita, ci si riconosce peccatori e s’invoca il perdono di Dio. La confessione è poi fatta personalmente al sacerdote; alla fine insieme si ringrazia Dio per il perdono ricevuto. Spesso nelle parrocchie questo modo di agire non è mai proposto, sia per la necessità di avere un certo numero di sacerdoti, sia per il tempo che richiede, sia per la scarsa partecipazione dovuta a un senso del peccato privatistico. Sarebbe auspicabile almeno in Quaresima per aiutare i battezzati a comprendere bene il tema della Comunità di cui ognuno è membro importante. Una terza forma potrebbe essere dovuta a circostanze particolari che permettono di impartire l’assoluzione in forma collettiva senza una confessione individuale. I fedeli sono invitati a compiere un atto di sincero pentimento e recitando una formula di confessione generale e il Padre nostro. Il sacerdote impone le mani a tutti una sola volta e pronuncia l’assoluzione. Occorre quanto prima confessare i peccati gravi a un sacerdote. È una forma che in Italia non è permessa.

A cura di Alessandro Maffiolini