All’inizio della Bibbia, nel secondo capitolo della Genesi, si dice che l’uomo, plasmato dalla polvere del suolo e dal soffio di Dio, sperimenta la solitudine. “Non è bene che l’uomo sia solo: gli voglio fare un aiuto che gli sia simile”, è la conclusione di Dio. Secondo Giovanni Paolo II questa esperienza non riguarda solamente il fatto che non sia ancora stata creata la donna, ma ha a che fare con la natura stessa dell’uomo, con la sua identità. Come esseri umani infatti, siamo dotati di una vita interiore e pertanto ciò che ci accade tocca “inevitabilmente la nostra interiorità, ci interroga, ci stupisce, ci ferisce, muove le nostre idee, le nostre sensazioni, i nostri sentimenti e soprattutto attiva la nostra capacità di interpretazione, di giudizio e di decisione. È lì che ogni persona può aprirsi alle domande ultime su sé stessa, sull’esistenza, sulla trascendenza, è lì che può scoprirsi sola con Dio”. Attraverso le esperienza che facciamo, scopriamo la nostra vera identità: essere persona ad immagine e somiglianza di Dio, scoprendosi capace di relazione con Dio. “La solitudine allora, non è vuoto da riempire, ma è scoperta di una presenza”. Inoltre, poiché esseri umani, a ben vedere, non siamo mai soli quando siamo soli, viviamo in un costante dialogo interiore con noi stessi, e con ciò che vive dentro di noi. “Questa è la grandezza dell’essere umano: la sola creatura che nella solitudine è capace di conoscersi, di possedersi, di donarsi liberamente e di entrare in comunione con altre persone e con il suo Creatore”. Anche oggi abbiamo la stessa possibilità, anche se forse ancora più lontano può sembrare Dio e possono sembrare le altre persone. Gesù che sale al cielo, non dice una partenza, un distacco doloroso: indica una presenza diversa da prima. Gesù ascende al cielo non per abbandonarci, ma per portare a compimento la sua missione e il nostro futuro. “Gesù che ascende al cielo e invia lo Spirito Santo inaugura la storia della Chiesa. Egli si sottrae allo sguardo fisico dei suoi discepoli e ci rinvia alla sua presenza sacramentale: la sua presenza non viene meno, ma cambia dimensione, essa è ora a noi accessibile solamente attraverso la molteplicità dei segni che rinviano a lui”. Ogni cristiano è chiamato a saperlo cogliere presente in questi segni e in primo luogo, come ci ricorda spesso Papa Francesco, nel segno del “prossimo” che ci interpella. Addirittura, i discepoli si sentono rincuorati perché ora il loro Maestro entra in una condizione nuova e può, quindi, raggiungere uomini e donne di ogni tempo e di ogni luogo. Gesù ormai è nella dimensione del Risorto e, pertanto, può essere presente a tutti i tempi e i luoghi, per sempre. Possiamo intuire tutto questo ricordando che Gesù è presente e, di fatto, continua a relazionarsi con noi e ad aver cura di tutte le cose. Continua a essere al centro della creazione, ad agire e interagire di una presenza misteriosa, ineffabile eppure certa, della quale solo la fede può renderci consapevoli così come solo la fede e la forza dello Spirito Santo resero di essa consapevoli i suoi discepoli. È bello avvertire che Gesù si cura di noi e attraverso di noi si occupa di tutti, specialmente di malati e abbandonati. Siamo meno soli di quanto pensiamo: non fermiamoci alla mente; entriamo nel nostro cuore, il luogo in cui possiamo riconoscere la presenza di Gesù e ascoltiamolo. Sentiremo allora la voce di Gesù e la sua presenza che non ci lascia mai e ci dona la possibilità di entrare in relazione con le altre persone, amandole e seguendo l’esempio stesso di Cristo. Amare come lui ci ha amato permette di sentirsi meno soli e di rimanere sempre in Sua compagnia.

don Alessandro Maffiolini