Misericordiosi verso gli ultimi

Diventa sempre più urgente scoprire e comprendere la radice della misericordia per agire di conseguenza; è necessario fare nostra la necessità evangelica di portare quei frutti che derivano dall’incontro con la Misericordia del Padre. Non vuol dire seminare “grazia a buon mercato” e considerare la misericordia come un condono che azzeri i conti con Dio per poi ricominciare da capo. Questo Giubileo ci permette di scoprire un Dio che va oltre i nostri peccati, ma che spinge al tempo stesso ad una conversione sincera e ad una vita che ci faccia essere misericordiosi. Quante energie sprecate nella vendetta e nell’avere sempre ragione o l’ultima parola. Andrebbero meglio indirizzate a incontrare l’amore paterno di Dio e ad escogitare insieme modi concreti di agire e di rinnovare il mondo intero. Il “cosa dobbiamo fare” è domanda necessaria da rivolgerci continuamente come stimolo per realizzare concretamente quella civiltà dell’amore che può rendere nuova ogni cosa. Altrimenti rischiamo di ridurre l’Anno Santo solo ad un insieme di celebrazioni o di pellegrinaggi, cose belle ma che, se non toccano la nostra vita, c’impediscono di essere persone vive e felici.

Gesù è il modello da imitare e seguire: ora tocca a ognuno di noi aprire il cuore accorgendoci delle miserie altrui, spalancando gli occhi sui bisogni, sulle necessità e miserie del nostro tempo ed escogitare le strategie più adatte per intervenire con lo stesso amore che abbiamo ricevuto da Dio. Siamo chiamati a ridare “linfa vitale” al nostro cuore che rischia di bloccarsi e diventare un cuore di pietra, indifferente al grido degli ultimi, ad esistere ed essere di aiuto ai fratelli e alle sorelle che incontriamo ogni giorno.

Il tempo in cui viviamo e il nostro territorio sono pieni di miserie e di povertà sia materiali che di diverso tipo: si fa uso di droghe, si gioca il poco che si ha nei punti-scommessa, si precipita nelle trappole mortali dell’usura o della malavita. A queste miserie possiamo aggiungere persone o famiglie intere che non possono pagarsi le medicine, le bollette e il cibo; chi vive solo e abbandonato; quanti sono disoccupati e in balia del nulla o di capricci di altri; coloro che vivono situazioni di dipendenza e hanno perso tutto, compresa la propria dignità; quanti non hanno niente perché fuggono dalla miseria e dalla guerra. La nostra umanità ci spinge a riconoscere queste persone, a capire chi sono, a leggere quanto ci sta attorno. La nostra fede ci indirizza a incontrare e farci prossimi di quanti sono ai margini dalla società. Nel nome della Misericordia possiamo annunciare Cristo al mondo e narrare a tutti l’immensa tenerezza del nostro Dio. Dobbiamo trasformarci in cristiani pieni di umanità, abbandonando per sempre la capacità di “chiudere gli occhi” per evitare di essere disturbati o richiamati alle nostre responsabilità. Solo così possiamo mostrare il nostro Battesimo e la nostra capacità di raggiungere tutte le periferie esistenziali della nostra città e della nostra nazione. Dio lo troviamo sempre: dove è presente il povero, dove c’è qualcuno che “lotta per la verità, la giustizia, il rispetto, lì dove ci sono dei crocifissi”. Se lasciamo chiusa la porta del cuore, la fede si ridurrà a una semplice manifestazione esteriore, a un’etichetta che abbiamo appiccicato. Speriamo che qui a Trecate non accada così. Apriamoci a Dio, ai poveri, agli ultimi, apriamo la comunità, la parrocchia, i gruppi, i movimenti, ogni associazione: “Nell’incontro dell’uno nell’altro sperimentiamo la vera gioia”.

A cura di Alessandro Maffiolini