Siamo arrivati a oltre metà del cammino di Avvento, le nostre case dovrebbero essere rallegrate da differenti segni che richiamano la prossima venuta del Signore. Anche diversi piazze, vie, negozi, centri commerciali hanno esposto i segni del Natale: certo, spesso è solo per invitare a spendere soldi, per far vedere che si fa qualcosa per la città o il paese; può essere solo un fermarsi all’aspetto esteriore del tempo che stiamo vivendo. Comunque sono segni che rimandano a una realtà più profonda. Grazie a questi, possiamo rispolverare alcuni atteggiamenti che ci aiutano ad accogliere realmente Dio che si fa uomo. A vedere i telegiornali o certi comportamenti delle persone, sembra che oggi abbiamo smarrito il cuore. Se con onestà iniziamo a cercarlo, lo troviamo e scopriamo che è irrequieto come quello di un investigatore di segreti. Il nostro cuore ha sete: molte volte, però si accontenta dell’acqua delle pozzanghere e si dimentica di desiderare acqua pura di sorgente. Siamo chiamati a ricercare l’amore con tutto noi stessi; solo così incontriamo Colui che ci riempie di gioia e attenzioni quotidiane e ci permette di non morire a noi stessi. Quest’atteggiamento, richiama la fede che è già presente in ogni figlio di Dio, in ognuno di noi. Forse non l’abbiamo mai scoperta veramente o non l’abbiamo curata come un dono prezioso. “La fede è ricerca di un perché, di un dove, di un quando. È ricerca di una risposta. La Comunità che ci ha generato può offrirci questa risposta. Se ha finito le scorte, aiutiamola a rifornirsi dal fuoco dello Spirito. Credere è cercare, camminando e piangendo”. Credere allora è essere certi che “Dio presto arriverà e sarà giorno”. Per accogliere Dio è bello parafrasare alcune affermazioni che sono molto di moda oggi e portano voti: il vecchio è l’entrata chiusa, il nuovo è la porta aperta; il vecchio è il muro sempre più alto, la novità è il ponte per unire; vecchia è la moltitudine di parole vuote, la novità sono i fatti concreti e certi. Molti sono capaci solo di lamentarsi e di incolpare gli altri, alcuni nuovi riescono a comunicare la gioia e l’amore per ogni persona. “Vecchia è una vita impigrita e gretta, novità è il gusto di esistere con se stessi, con gli altri, con Dio”. La conversione diventa quindi necessità per non abituarsi e diventare amanti della mediocrità, una malattia dell’anima e della vita molto diffusa e capace di penetrare nelle persone. La nuova direzione da prendere è sempre ordinata dalle coordinate della Parola di Dio; “è accompagnata da una guida che accoglie, in nome di Dio, i nostri sbagli, i progressi, la tensione verso la crescita; è consolidata da una comunità che cammina con noi e condivide la nostra fede e la nostra fatica. Cambiare rotta è cambiare aria, ossigenare il cuore, ventilare i pensieri, riscoprire e vivere le certezze di Dio e dell’uomo, riabilitare il cuore alla vita, rieducare l’amore al dono, condividere il bene, creare strategie di amicizia e di dialogo”. Cambiare rotta è mettersi di nuovo lungo i sentieri di Colui che viene, fino a condividerne la misteriosa avventura di un Dio che si fa uno di noi. Addirittura il nostro Dio si fa povero, perché le sue creature sono povere. Questo per molti un limite invalicabile. Può però trasformarsi in un presupposto che ci aiuta a crescere, a fare cordata con le altre persone, a condividere la vita con chi incontriamo. La diversità si cambia in ricchezza, ci permette di essere originali, unici, efficienti. Il limite, allora, ci aiuta a sentire il bisogno di Dio che accetta anche per sé il limite, ma lo trasforma nella più sublime opportunità di amare. Infine accogliere Gesù significa scegliere gli ultimi posti: chi serve crea relazioni; chi serve chiarisce le controversie; chi serve sa che la mitezza vince; chi serve non muore mai né agli occhi degli altri né agli occhi di Dio. Infatti, Dio che si fa uomo, non è venuto per essere servito, ma per servire.

don Alessandro Maffiolini