Ogni giorno la nostra missione cristiana è di seguire le orme e i passi del nostro Maestro. Abbiamo tutti molto chiaro che Gesù incarna in sé il sacramento del perdono. Infatti, il Regno di Dio è in mezzo a noi e siamo chiamati a convertirci e usare sempre la stessa misura utilizzata da Dio verso di noi. È un perdonarci sempre, ogni volta che chiediamo la sua misericordia nel sacramento della Riconciliazione. Gesù ha sempre posto l’accento sull’infinita e paradossale grandezza della misericordia di Dio, che diventa fonte e modello dell’amore umano: settanta volte sette è il condurre al piano superiore, quello dell’esperienza di Dio: anche nelle parabole Egli racconta e presente la grandezza della misericordia divina. Proprio dalla sorgente dell’amore misericordioso di Dio scaturisce la natura stessa del perdono, che è pertanto illimitato e infinito. Tante volte i nostri limiti umani rendono difficile l’accoglienza dei fratelli e l’esercizio della carità nei loro confronti: in loro vediamo spesso solo nemici da combattere ed eliminare perché invadono i nostri ruoli o ci richiamano con la loro schiettezza a cambiamenti che non desideriamo compiere. Per superare queste situazioni esiste un rimedio infallibile: il perdono. Infatti, ogni giorno, c’è bisogno di perdono, perché ogni giorno ci possono essere contrasti che creano divisioni. Nella logica del Vangelo perdonare significa dimenticare, non si tratta di memoria, ma di cuore, – e dimenticare significa amare di più il fratello, accogliendolo pienamente e comportandosi con lui come se nulla fosse accaduto, cioè senza lasciarci condizionare dal male ricevuto. Perdonare significa “Io perdonerò la loro iniquità e non mi ricorderò più del loro peccato”. Solo se offriamo il perdono, riceviamo la pace. Giovanni Paolo II ci ha ricordato che non si può rimanere prigionieri del passato: occorre una sorta di purificazione della memoria affinché il male non torni a prodursi. “Dal perdono nascono la condivisione, il servizio, la pace, la partecipazione alle gioie e alla sofferenza altrui. Senza perdono c’è “il cancro” che a poco a poco distrugge ogni cosa buona e ci fa essere in una vita falsa e comoda per noi. Tutto questo è ancora più evidente nel Padre nostro, nel quale si chiede il dono grande di perdonare come il Padre che è nei cieli. D’altra parte l’esperienza umana del perdono fraterno ci porta a saper accogliere con pienezza e fecondità quello donato dal Signore. Le due realtà dunque sono strettamente in sinergia e complementari l’una all’altra. Infatti, l’unico ostacolo posto all’infinito amore misericordioso di Dio è proprio il libero rifiuto dell’uomo. Il male che l’altro ci fa è come il veleno iniettato nella nostra caviglia dai denti da un serpente velenoso. Se vogliamo evitare di morire, la prima cosa che dobbiamo fare è fermare questo male con un laccio e poi sputare fuori il veleno. Non certo mettersi a inseguire il serpente per schiacciarlo o ucciderlo o accusarlo davanti a tutti di essere velenoso. “E così vale appunto per il male che gli altri ci fanno: sputarlo fuori, non ripagare nessuno con la sua moneta malvagia ed evitare che il male continui a circolare dentro di noi”. Se l’altro se ne approfitta, non deve importarci: Dio penserà a dare la giusta ricompensa. Allora, perdoniamo sempre come c’è chiesto e non lasciamo mai che il male determini le nostre scelte e le nostre parole. “È una questione di fede, applicata concretamente alla vita. Il perdono diventa così un balsamo che profuma di amore vero e di misericordia tutta la nostra vita e ci apre al cuore del Padre ed alla beatitudine dell’amore”.

don Alessandro Maffiolini