L’inizio di ogni nuovo anno pastorale è frastornato di trepidazione, di entusiasmo con un mix di desideri e attese. Il “futuro” è visto come un tempo di possibilità da mettere in pratica per imparare cose nuove e per continuare il cammino percorso. Anche i buoni propositi sono molteplici e, diverse volte, si scontrano con la realtà dei fatti. Uno degli ostacoli in questo cammino di riscoperta e conversione è la paura, anzi le nostre paure! Soprattutto in questi anni di crisi economiche e sociali. Il timore per questa epoca e verso le persone che negli anni precedenti abbiamo accolto è legittimo. Nessuno, infatti, è preparato per questi incontri che producono dubbi. Non dobbiamo inoltre permettere che essi influenzino le nostre scelte e le nostre idee conducendoci a trasformarci in esseri intolleranti, chiusi o addirittura razzisti. “Superando le paure ci rendiamo conto che stiamo trattando della carità. La fede vive nella concretezza delle opere, insegnava già l’apostolo Giacomo, e la carità più bella, vera, disinteressata è quella verso coloro che non sono in grado di ricambiare e talora forse neanche di ringraziare”. La logica del Vangelo, inoltre, è l’insegnamento di Gesù, secondo cui “il Figlio dell’uomo è venuto non per essere servito ma per servire”. La nostra cultura, ormai col rischio di essere sempre più individualista, porta a creare e vivere forme di privilegio, allargando le disuguaglianze e le differenze. Siamo arrivati, anche a livello d’informazione e di polita a definire gli altri solo per categorie: disagiati, senza casa, usurati, immigrati, malati di gioco, dipendenti da telefonino; quasi fossero solo dei numeri e non delle persone. Non dobbiamo mai dimenticare che “ogni essere umano è immagine di Dio; in ogni attività, programma dobbiamo mettere al centro la persona in tutta la sua realtà e complessità: materiale, relazionale, spirituale”. E questo semplicemente Vangelo, non altro. È vivere da figli di Dio, da cristiani cui non è sufficiente avere un’etichetta che non dice più niente alla vita e alla coscienza. È il desiderio di non rimanere sempre indietro, ma di avere la capacità di guardare avanti e andare avanti illuminati dalla Parola di Dio. Praticare l’ospitalità verso tutti, è mettere in pratica un cammino che immette già il credente nell’atmosfera della risurrezione. Ecco che gli altri, i migranti, diventano più identificabili: sono fratelli e sorelle che ci offrono l’occasione di vivere la carità più alta e autentica, quella che si esercita verso chi non è in grado di ricambiare e nemmeno di ringraziare. Proprio per questo fondamentale motivo e alla luce delle sfide e dei problemi evidenziati, l’unica possibile risposta è quella della solidarietà e della misericordia; “una riposta che non fa troppi calcoli, ma esige un’equa divisione delle responsabilità, un’onesta e sincera valutazione delle alternative e una gestione oculata”. È il mettersi a servizio della persona, di tutte le persone e arrivare a risposte adeguate nella sicurezza, nel rispetto dei diritti e della dignità. Da questo incontro con Gesù presente nel povero, nello scartato, nel rifugiato, nel richiedente asilo, scaturiscono la nostra preghiera e la nostra occasione di essere cristiani che mostrano con fatti concreti di Vangelo, la possibilità di costruire un mondo nuovo, più umano, con le persone realmente al centro delle scelte politiche, economiche e sociali. Allora la gioia della Risurrezione potrà irradiarsi nel mondo intero.

don Alessandro Maffiolini