Dall’esortazione apostolica Evangelii gaudium, alla recente enciclica sulla fratellanza umana e alla luce soprattutto degli Atti degli Apostoli e dei Vangeli, la “fraternità” dovrebbe essere un tema attuale e addirittura fondamentale per la Chiesa e per umanità. È una caratteristica insita nell’esperienza di ogni essere umano ed è caratteristica propria di ogni cristiano. È necessario comprenderla alla luce del Vangelo e cogliere le responsabilità che ne scaturiscono. “Forse proprio nel sentirci coinvolti in un progetto di vita che ha nella fraternità un’urgenza ecclesiale e sociale del nostro momento, ci sentiremo ulteriormente interpellati a verificare in essa una corretta accoglienza del Vangelo”. Infatti, nel vangelo di Matteo, Gesù, nella preghiera per eccellenza che ci ha insegnato, ci invita a dire “nostro”: siamo quindi tutti figli, tutti fratelli e sorelle. Questo era chiaro nelle prime comunità cristiane: siamo chiamati a vivere relazione familiari proprio perché la paternità di Dio genera quella fraternità che si realizza nella vita della comunità. Il Dio cristiano è presentato da Gesù come un Padre che ci colloca tutti in un rapporto di fraternità e di figliolanza. E poi “dalla stessa esperienza di Gesù consegnataci dal Vangelo, emerge una fraternità non fine a se stessa ma finalizzata alla missione di rendere l’umanità più fraterna”. Questo solo serve per essere tessitori di fraternità; idee, progetti, desideri, gruppi sono eventualmente un aiuto in questo cammino. Infatti, quanti fanno esperienza della paternità di Dio, sanno unire correttamente appartenenza e apertura agli altri, perché in essi riconoscono il volto del Padre. Pietro nel libro degli Atti ci ricorda che “In verità sto rendendomi conto che Dio non fa preferenza di persone, ma accoglie chi lo teme e pratica la giustizia, a qualunque nazione appartenga”. Ancora una volta è riaffermato che la fraternità cristiana è la particolare maturazione dell’esperienza di quella fraternità che accomuna tutti gli esseri umani. Certo nel mondo di oggi, accentuato ancora di più dalla pandemia, è molto più facile dire “Chi è mio fratello?” e avere paura dell’altro, arrivando a vederlo come un ostacolo e una minaccia da eliminare o mettere da parte. Addirittura si può arrivare “ad alzare le mani”, segno di preghiera e di disponibilità ad accogliere, ma in realtà è “un mettere le mani avanti per distanziarci dall’altro, per tenerlo lontano rispetto alla nostra presunta santità” e superiorità. Diventa allora necessaria un’operazione importante: passare dal prendere le distanza dall’altro ad arrivare a riconoscere una comune appartenenza in Dio Padre. Su questa via maestra, Gesù dirige con forza il cammino degli apostoli e dei discepoli, affermando che “Chi fa la volontà di Dio, costui per me è fratello, sorella e madre”. Tessere la fraternità significa partire da quella familiarità fondata sull’accoglienza e il praticare concretamente la volontà di Dio. Gesù ha vissuto in questo modo ogni giorno della sua esistenza terrena tra noi: a noi il mandato di tessere quotidianamente la stessa trama nella nostra vita e nelle nostre relazioni. Questo va compiuto senza paura e con coraggio arrivando anche al “dono della vita” e alla sofferenza per proporre questo stile di vita. La fraternità tessuta così non è più fine a se stessa: rende l’umanità intera e ogni essere umano più fraterno dentro “quella Galilea che ha i connotati del nostro mondo, della nostra storia e delle nostre diversità”.

don Alessandro Maffiolini