Subito prima della sua Passione, in un momento d’intimità con i suoi apostoli e anche d’inquietudine e incertezza, Gesù rivolge delle parole stupefacenti e di grande profondità. Gesù è preoccupato per ciò che avverrà dopo la sua morte e risurrezione. “Sono parole che volgono quindi lo sguardo e il cuore al futuro loro e nostro. Oggi l’umanità intera sta attraversando ancora una stagione di grande sofferenza, colpita nel profondo dall’epidemia di Covid-19 e dalle sue devastanti conseguenze sociali, economiche e morali. Non c’è stata nazione che non abbia avuto i suoi dolori ed anche coloro che sono stati risparmiati devono fare i conti con la crisi che ne è scaturita”. Le reazioni davanti a questo sono differenti: ignorare le richieste; chiudere i propri confini e il cuore, lasciarsi andare alla frustrazione e alla rabbia trovando sempre negli altri dei colpevoli da accusare. Gesù chiede di rimanere in Lui. È un rapporto di fedeltà stabile. Gesù chiede a ciascuno di noi di non fuggire via, barricati sulle nostre posizioni, presi dalle nostre idee, dalla tentazione di ripiegarci e chiuderci in noi stessi. Ci chiede innanzitutto un rapporto saldo e vivificante con la sua Parola. “Secondo la preghiera sacerdotale di Gesù, ciò cui aneliamo è l’unità nell’amore del Padre che viene a noi donato in Gesù Cristo, amore che informa anche il pensiero e le dottrine”. Non basta dire di essere concordi nella comprensione del Vangelo: è necessario che realmente tutti noi credenti siamo uniti a Cristo e in Cristo. È grazie alla nostra conversione personale e comunitaria, al nostro graduale conformarci a Lui, al nostro vivere sempre più in Lui, che cresciamo nella comunione sincera tra di noi. Altrimenti non c’è comunione, nemmeno se si fa vita comune, perché al centro siamo sempre noi, con il nostro potere e desiderio di prevalere sugli altri. È unicamente l’amore di Cristo che ci fa uscire, ci spinge verso gli altri “specialmente verso i più deboli, i periferici, i poveri e i sofferenti, come Gesù stesso ci ha insegnato uscendo e percorrendo le strade del suo tempo”. Importante è inoltre ricordarci che l’unità non è il frutto dei nostri sforzi umani o di diplomazie ecclesiastiche: è un dono che viene da Dio. I cristiani accolgono questo dono e lo rendono visibile a tutti. È quindi un cammino da percorrere sempre senza demoralizzarsi: ha le sue tabelle di marcia e i suoi ritmi, i suoi rallentamenti e le sue accelerazioni, e anche le sue soste. “L’unità come cammino richiede pazienti attese, tenacia, fatica e impegno; non annulla i conflitti e non cancella i contrasti, anzi, a volte può esporre al rischio di nuove incomprensioni”. È altresì vero che essere tessitori di unità comporta, cosa difficile, vedere prima quanto ci accomuna. Solo così riscopriamo di essere fratelli e sorelle in Cristo e possiamo obbedire alla Parola di Dio che ci vuole uniti. Per Papa Francesco, “l’ecumenismo è vero quando si è capaci di spostare l’attenzione da sé stessi, dalle proprie argomentazioni e formulazioni, alla Parola di Dio che esige di essere ascoltata, accolta e testimoniata nel mondo”. Per questo le comunità cristiane e i gruppi che compongono una parrocchia sono chiamati a collaborare. Il farsi concorrenza, il dire di essere più bravi degli altri, l’affermare che loro sì vogliono bene alle persone, sono alcuni modi per distruggere la comunità e frammentarla sempre più.

don Alessandro Maffiolini