Molti anni fa il testamento era un momento prezioso della vita di una persona, perché si consegnavano ai figli, parenti e amici le ultime volontà, cioè si consegnava la nostra idea della vita, i valori che ci avevano guidato e s’invita a continuare su quella strada con coraggio e senza paura. Oggi tante volte per testamento intendiamo la consegna degli interessi materiali, spesso poi motivo di profonde divisioni, mandando così in frantumi la fatica, l’intenzione e l’amore con cui si sono lasciati i beni. Molte pere buone fatte nel mondo sono dovute a quanto si lascia per testamento e diventano testimonianza della generosità di una persona. Anche Gesù a poche ore dalla sua morte ha voluto lasciare un testamento speciale ai suoi apostoli, dopo aver lavato loro i piedi: “Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri. Come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri”. Questo è diventato la “carta della carità di Dio verso di noi e la carità nostra verso tutti”. Una cosa meravigliosa. Se ogni battezzato, che dovrebbe essere discepolo di Gesù, dovesse fare di questo testamento la regola della sua vita, “tutti dovrebbero riconoscerci proprio perché il nostro dirci cristiani non sarebbe parola vuota, ma testimonianza di amore e di vita”. Infatti, se un cristiano non è unito a Cristo, si elimina il sentimento più nobile: non abbiamo più motivi per chiamarci “fratelli e sorelle”, per donarci agli altri, per alzare lo sguardo e vedere nel volto delle persone, l’immagine di Cristo. Senza queste, diventiamo ciechi e incapaci di amore, ma disponibili a compiere le azioni più malvagie e a pensare solo a noi stessi e ai nostri interessi. Tutto si trasforma in egoismo e non accettiamo più i fratelli che consideriamo ormai estranei. Per noi cristiani, l’amore è gratuito ed è esercitato solo per accogliere gli altri. Per noi vivere la carità in nome della Chiesa significa proporre la fede agli altri senza imporla con la forza. Sappiamo che l’amore esercitato senza pretese e con gratuità è la migliore testimonianza di Dio nel quale crediamo e dal quale siamo spinti ad amare. La miglior “difesa” di Dio, non sono le nostre parole, ma il nostro amore concreto sul modello di Cristo stesso. Mi chiedo spesso, il motivo per cui al “testamento di Gesù”, si preferisce l’egoismo, la violenza, l’ingiustizia, la critica, la diffamazione e il disinteresse verso altri. La novità di questo testamento consiste nell’amore di Gesù Cristo, quello con cui Lui ha dato la vita per noi. Si tratta dell’amore di Dio, universale, senza condizioni e senza limiti, che trova il suo vertice sulla croce. Papa Francesco ci ricorda come Gesù ci ha amati per primo, ci ha amati nonostante le nostre fragilità, i nostri limiti e le nostre debolezze umane. È stato Lui a far in modo che diventassimo degni del suo amore che non conosce limiti. Dandoci il comandamento nuovo, Egli ci chiede di amarci tra noi non solo e con il nostro amore, ma con il suo, che lo Spirito Santo infonde nei nostri cuori “se lo invochiamo con fede”. L’amore di Gesù ci rivela l’altro come membro della comunità degli amici di Gesù; ci spinge al dialogo e ci aiuta ad ascoltarci e conoscerci reciprocamente. L’amore ci apre verso l’altro, diventando la base delle relazioni umane. Rende capaci di superare le barriere delle proprie debolezze e dei propri pregiudizi. L’amore di Gesù in noi crea ponti, insegna nuove vie, innesca il dinamismo della fraternità. La Vergine Maria ci aiuti, con la sua materna intercessione, ad accogliere dal suo Figlio Gesù il dono del suo comandamento, e dallo Spirito Santo la forza di praticarlo nella vita di ogni giorno.

don Alessandro Maffiolini