Stiamo ancora tutti attraversando un periodo pieno d’incertezza, di stanchezza e di paura. “Fitte tenebre si sono addensate sulle nostre piazze, strade e città; si sono impadronite delle nostre vite riempiendo tutto di un silenzio assordante e di un vuoto desolante, che paralizza ogni cosa al suo passaggio: si sente nell’aria, si avverte nei gesti, lo dicono gli sguardi”. Così il Santo Padre descriveva i sentimenti dell’intera umanità nel cuore della Quaresima dello scorso anno, nella bellissima preghiera celebrata sul Sagrato della Basilica di San Pietro, il 27 marzo 2020. A distanza di quasi un anno, la situazione sanitaria sembra non darci tregua, anzi le varianti del Covid-19 che continuamente sono scoperte, portano una nuova preoccupazione, almeno a quanti hanno uno sguardo rivolto non solo a se stessi. Dall’altra, l’impegno di tanti fratelli e sorelle e la loro testimonianza di carità sincera aprono il cuore alla speranza. Le parole e i gesti ripieni di amore ci ricordano che la morte non è l’ultima parola, che la speranza non può morire; che la Vita vince la morte. È la forza e la bellezza dell’annuncio pasquale, al quale ci stiamo preparando grazie ai quaranta giorni sacri. Nel messaggio per la Quaresima di quest’anno il papa ha scritto: “Nell’attuale contesto di preoccupazione in cui viviamo e in cui tutto sembra fragile e incerto, parlare di speranza potrebbe sembrare una provocazione”. Il tempo di Quaresima, infatti, paradossalmente, è fatto per sperare, per tornare a concentrare lo sguardo all’amore e alla pazienza di Dio. Dio continua a prendersi cura della sua Creazione e delle sue creature, mentre noi le abbiamo spesso maltrattate e ci sentiamo superiori. Il Vangelo è bellissimo e dovremmo leggerlo spesso perché ci dice anche qual era l’orientamento stesso del Signore Gesù, che “non faceva niente per essere ammirato dagli uomini ma viveva nell’intimità del Padre suo”. Quando facciamo qualcosa di bene, subito nasce in noi il desiderio di essere stimati per questa buona azione, di essere ammirati: di avere cioè la ricompensa, una ricompensa falsa però perché è la gloria umana, la nostra soddisfazione, il nostro piacere. Tante volte anche la troppa disponibilità ci conduce verso questa strada: ci dimentichiamo che esistono anche gli altri con le loro doti e qualità. E questo, infine, ci rinchiude in noi stessi, “mentre contemporaneamente ci porta fuori di noi, perché viviamo proiettati verso quello che gli altri pensano di noi, lodano, ammirano in noi”. Per fare il bene è necessario vivere nell’amore di Dio. “Il nostro atteggiamento in questa Quaresima sia dunque di vivere nel segreto, dove solo il Padre ci vede, ci ama, ci aspetta. Certo, le cose esteriori sono importanti ma dobbiamo sempre sceglierle e vivere alla presenza di Dio”. La salvezza allora non è una scalata al successo e alla gloria personale o di gruppo. È un mettersi a seguire la Croce per non perdere mai la giusta rotta della nostra vita e diventare portatori di speranza in ogni situazione che incontriamo, specialmente le più disastrose e sofferte. La Croce è l’unica ancora di salvezza per noi e il mondo intero: a Lei dobbiamo guardare. Lei siamo chiamati a seguire sempre. Siamo realmente davanti ad un’occasione anche per le nostre comunità: potersi trasformare in testimoni credibili e attraenti del loro incontro con Cristo e del loro desiderio di seguire il Vangelo in tutto e per tutto. A tutti: buon cammino di speranza.

don Alessandro Maffiolini