PREPARARE, RADDRIZZARE, SOGNARE
Mt 3,1-12
In questo cammino di preparazione al Natale, che è l’Avvento, entra in scena con grande forza e rigore Giovanni il ‘Battista’. La sua figura è austera, ascetica: il Vangelo di Matteo ce lo descrive come un monaco del deserto ed è già di per sé, con il suo stile di vita, un grande richiamo ai valori spirituali ed all’azione di Dio che irrompe nella Storia. La sua parola è forte e severa, è un appello deciso alla ‘conversione’, perché è imminente una presenza speciale di Dio nel mondo ed un inevitabile giudizio.
In particolare Giovanni si rivolge a due categorie di persone: i farisei, famosi per la loro ipocrisia e formalismo, molto attrezzati teologicamente, ma poco coerenti con la vita. E poi ci sono i Sadducei, persone piuttosto lassiste e permissive, tendenti al materialismo. Due estremi, dunque, ambedue lontani dalla vera religiosità dell’Alleanza e dal vero culto del Dio vivente.
E infine c’è un popolo che è come un gregge sbandato e abbandonato, che ha bisogno di ritrovare una direzione giusta e sicurezza.
Giovanni a tutti chiede la conversione interiore, l’umiltà di riconoscere i propri errori e di domandare il perdono attraverso il gesto del Battesimo e una sincera disponibilità di cuore verso gli eventi di Dio che stanno per compiersi.
Al rigore severo di Giovanni Battista fanno tuttavia da contrappunto la speranza e l’ottimismo del profeta Isaia. Le immagini che egli suggerisce sono davvero cariche di vitalità, di bellezza e di pace. In particolare vi troviamo la famosa metafora del “germoglio”, tronco antico e spesso mutilato, che è il popolo d’Israele; germoglio fresco e promettente che da esso rispunta, il popolo nuovo. E ancora ci sono gli animali feroci che fanno pace con quelli domestici in una prospettiva universalistica di un mondo migliore, in un’alba di pace.
Preparare dunque, raddrizzare, ma anche sognare e sperare un mondo diverso. Ma tutto questo deve passare attraverso una vera conversione del cuore. È importante anche attraverso i segni della gioia e della festa esteriore ritrovare più nitidamente i valori dello Spirito, noi così ‘incrostati’ di terra, che rischiamo ogni giorno il materialismo pratico o il formalismo delle abitudini…
Riconosciamo inoltre che abbiamo un estremo bisogno di speranza… e la nostra speranza si fonda sull’amore di Dio che ci riabbraccia sempre, personalmente, intensamente.
È da questo abbraccio concreto e storico del Dio con noi che nasce la spinta ad abbracciare tutti nella carità, dalla famiglia al mondo intero. È la logica del Dio incarnato che si fa incontrare, che si lascia amare e che ci fa amare davvero (finalmente!), perché Lui ci ha amati per primo.
Don Dino Bottino