Ciò che è del Padre è anche nostro
Gv 16,12-15

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La Trinità si delinea, nel Vangelo di oggi, come un accadimento di vita, un’azione che ci coinvolge. La gloria per Gesù consiste in questo: che tutto ciò che è Suo sia anche nostro. Dio gode nel mettere in comune. Ciò per cui Cristo è venuto: trasmettere Se stesso e far nascere in noi tutti un Cristo iniziale e incompiuto, un germe divino in cammino. “Tutto quello che il Padre possiede è mio”. Il segreto della Trinità è una circolazione di doni dentro cui è preso e compreso anche l’uomo; non un circuito chiuso, ma un flusso aperto che riversa amore, verità, intelligenza fuori di sé, oltre sé. Una casa aperta a tutti gli amici di Gesù. La gloria di Gesù diventa la nostra: noi siamo glorificati, cioè diamo gioia a Dio e ne ricaviamo per noi godimento e pienezza, quando facciamo circolare le cose belle, buone e vere, le idee, le ricchezze, i sorrisi, l’amore, la creatività, la pace… Nel dogma della Trinità c’è un sogno per l’umanità. Se Dio è Dio solo in questa comunione di doni, allora anche l’uomo sarà uomo solo nella comunione. E questo contrasta con i modelli del mondo, dove ci sono tante vene strozzate che ostruiscono la circolazione della vita e vene troppo gonfie dove la vita ristagna e provoca necrosi ai tessuti.

Ci sono capitali accumulati che sottraggono vita ad altre vite; intelligenze cui non è permesso di fiorire e portare il proprio contributo all’evoluzione dell’umanità; linee tracciate sulle carte geografiche che sono come lacci emostatici, e sia di qua che di là, per motivi diversi, si soffre… Tutto circola nell’universo: pianeti e astri e sangue e fiumi e vento e uccelli migratori… È l’economia della vita, che si ammala se si ferma, che si spegne se non si dona.

Come nel racconto dell’ospitalità di Abramo, alle querce di Mambre: arriva uno sconosciuto all’accampamento e Abramo con dolce insistenza lo forza a fermarsi e a mettersi a tavola. All’inizio è uno solo, poi, senza spiegazione apparente, i personaggi sono tre. E noi vorremmo capire se è Dio o se sono solo dei viandanti. Vorremmo distinguere ciò che non va distinto. Perché quando accogli un viandante, tu accogli un angelo, l’ha detto Gesù: “Ero straniero e mi avete accolto”.

L’ospitalità di Abramo al Dio Viandante, Uno e Tre, ha un premio: la fecondità di Sara che sarà madre. Forse qui c’è lo scintillio di un rimedio per la nostra epoca che sta appassendo come il grembo di Sara: riprendiamo anche noi il senso dell’accoglienza e ci sarà vita nella tenda, vita nella casa.

 

Padre Ermes Ronchi