Gv 11,1-45
Vivere da vivi
La sfida, alla fine della fiera, è fra la morte e la vita. Fra vivere da vivi o da morti. Fra il permettere che la vita contagi e si allarghi fino a superare ogni morte o, viceversa, permettere alla morte di contagiare ogni aspetto della vita. Il deserto, il Tabor, la sete, la cecità… tutto ci porta all’essenziale, alla scelta. Scegliere o meno di vivere. Non vivacchiare, come siamo abituati a fare. Un po’ travolti dalle cose, dalle emozioni, dai limiti, dai giudizi, dai sensi di colpa. Come la samaritana, appunto. O il cieco nato. Ma prendere in mano la vita, lasciare che dilaghi, scoprire che l’anima, che spero ci abbia raggiunti in questo ultimo mese, ci permetta di vedere le cose in maniera diversa. La morte di un amico, del migliore amico, è l’occasione finale, per Gesù, di mostrare l’amore che ha per Lazzaro. E per le sue sorelle. E per noi. E che questo amore lo spingerà a fare ciò che nessuno aveva anche solo immaginato si potesse fare: donare la vita per qualcun altro. La vita di Lazzaro segna la morte di Gesù. Il tuo amico Gesù si è rifugiato a Efraim. Tira una bruttissima aria, per lui, a Gerusalemme. Giovanni compone il suo vangelo come un gigantesco, infinito premessa all’opera di Gesù e Gesù, lo sa, è già stato condannato a morte in contumacia. Lazzaro, il suo amico Lazzaro, sta male, tanto. Gesù sa che andare a Betania, a quel punto, equivale a un vero suicidio. Aspetta qualche giorno e parte. Tutto a Betania, odora di morte. La fine prematura di una persona giovane e stimata, ancora oggi, ci getta nel panico totale. Nonostante la fede, nonostante tutto. È Marta a uscire per prima. Le sue parole sono un rimprovero. Se tu fossi stato qui. No Marta, non è vero. Se anche Gesù fosse stato presente, non avrebbe impedito a Lazzaro di morire. Anche se Gesù è presente nella nostra vita, anche se siamo suoi amici, se egli ci è amico, non possiamo evitare la morte e il dolore e le prove che egli per primo non ha rifiutato. È normale, istintivo pensare che Gesù ci protegga, ci salvi. E lo fa, ma mai come pensavamo. Mai come vorremmo. Gesù invita Marta, e noi, a credere. A credere in una resurrezione e in una vita che avvolgono e riempiono questa nostra vita biologica, terrena, che le danno misura e senso, orizzonte e gioia. Si fida, Marta. Anche se stenta a capire, anche se non vede come tutto ciò possa accadere. Sa, come sappiamo noi, che egli è l’acqua di sorgente, la luce. Ma c’è ancora un passio incredibile da affrontare.
Ti chiama
Il maestro è qui e ti chiama. Così dice Marta a Maria. Così dice Marta a me, oggi. Maria si alza e, con lei, tutti i familiari e gli amici. Si ripete la scena, il dolce rimprovero. Gesù sta per ribattere, ma vede le lacrime. Tante. Troppo. E scoppia a piangere. Come se, per la prima volta, Dio si rendesse conto di quanto dolore possa vivere l’uomo. Di quanto possiamo smarrirci e perderci, deboli e sciocchi che siamo. Come se Dio, per la prima volta, vedesse quanto dolore ci procura il dolore, quanto smarrimento, quanto disorientamento. Non ci sono parole per spiegare o per consolare. Solo partecipazione. Chiede dov’è Lazzaro. Vieni a vedere, gli dicono. Tre anni prima, ai due discepoli del Battista che si erano messi sui suoi passi, aveva detto le stesse parole venite e vedrete. Loro videro dov’era Dio. Dio, ora, va a vedere dov’è la morte. E sceglie.
Vieni fuori Lazzaro, vieni fuori!
Sa bene che quel gesto segnerà la sua fine. Sa bene che alcuni si prenderanno la briga di andare a denunciarlo. Sa bene che le parole non sono più sufficienti. La sua vita per la vita di Lazzaro. Ora che ha visto quanto dolore provoca la morte gli resta un ultimo passaggio per essere uomo in tutto. Morire. È piena di gioia e di stupore questa resurrezione. È pieno di mestizia il cuore del Maestro. Sì, ora è pronto. Andrà fino in fondo. Fino all’inimmaginabile. La morte di Dio. Lazzaro, noi, io, siamo vivi perché Gesù ha donato la sua vita. E ci invita, ancora e ancora, a vivere da vivi.
Commento a cura di Cavallo Renato