Gv 1,29-34

Ho visto. Ho testimoniato.

Io non lo conoscevo, ripete per due volte un assorto Giovanni Battista. Lo stupore di domenica scorsa gli ha spalancato un mondo, un orizzonte, una comprensione del mistero di Dio totalmente inattesa. Credeva di sapere, credeva di credere, credeva di conoscere. Tutta la sua vita si era consumata intorno a quell’attesa, a quell’incontro. Tutta la sua credibilità, che attirava folle, che sapeva tenere testa alle spie inviate dal Sinedrio per metterlo in difficoltà, era fondata su quella coerenza radicale, quasi indisponente, brutale. L’ultimo dei profeti, il più grande, il più epico, ora è spiazzato. Perché solo i grandi uomini accettano di farsi mettere in discussione anche quando credono di sapere. E magari sanno veramente. Eppure ammette: “Io non lo conoscevo”. Ammette che esiste un prima, un avanti che il Nazareno conosce e lui non ancora. Così è la nostra vita di ricerca. Così inizia questo tempo donato da Dio. Senza sapere. Anche se già sappiamo. Senza sederci sulle certezze acquisite, sulle cose donate eimparate, senza voler apparire arrivati o sapienti. Dio sa stupirci, se lo lasciamo fare.

Ho visto

Ho visto. La conoscenza di Dio nasce sempre da un’esperienza. il vedere non è solo un distratto guardare estetico, curioso, superficiale. È l’atteggiamento di chi si pone davanti alla vita con mille domande, nella consapevolezza che o siamo cercatori o non siamo. Ho visto, dice Giovanni. Ha visto Gesù venire verso di lui, dopo il Battesimo. Ha visto un Dio che gli si fa incontro, presente, prossimo, vicino. Come abbiamo visto noi, in questi brevi ed intensi giorni di Natale. Abbiamo visto un Dio che diventa bambino, che ribalta le nostre prospettive, che si rivolge agli sconfitti della storia. Abbiamo visto, se non ci siamo lasciati sopraffare dall’inutile buonismo che emoziona e non converte, se non ci siamo lasciati avvelenare dalla disperazione di chi ha vissuto questo giorni da solo. Se sappiamo alzare lo sguardo dalla disperazione, se lasciamo il cuore e l’anima andare oltre l’apparenza di una festa diventata mondana, anche noi vediamo il Signore venirci incontro. È questo il cristianesimo: lo stupore di un Dio che prende l’iniziativa, che annulla le distanze, senza porre condizioni, senza chiedere nulla.

Ho testimoniato

Ho visto e ho testimoniato. Nel vangelo di Giovanni, il cui autore era uno dei due discepoli del Battista che ha seguito il Maestro, il profeta non è un precursore ma un testimone. Possiamo testimoniare solo se sperimentiamo, non per sentito dire. Possiamo testimoniare solo se ammettiamo di non conoscere e ci poniamo all’ascolto. Giovanni testimonia che ha scoperto in Gesù il Figlio di Dio. Non il Messia vendicatore, non un grande uomo, non un profeta o un guru, non un autore spirituale. Il Figlio di Dio, qualunque cosa questa affermazione significhi. La comunità cristiana nascente che racconta questo episodio, ancora non ha sviscerato le conseguenze di questa affermazione. Dell’alta montagna intravvede solo l’alta cima innevata. Ancora deve salire. Ma la direzione è quella. Io vi rendo testimonianza. Io, Renato. Ho visto e ho testimoniato nella mia vita intensa, complessa, contraddittoria, densa, misteriosa, che Gesù è il Figlio di Dio. E ancora vivo per capire la profondità di ciò che ho visto e che ancora devo capire.

L’agnello

Ecco l’agnello che toglie il peccato del mondo. La voce, ora, è a servizio della Parola. Lo Spirito la riempie di significato. Illumina la comprensione di Giovanni, lo rende testimone. Questo Spirito che si posa su Gesù e rimane, che dimora senza andarsene, che rimane per consolare, per fare compagnia. Gesù è un agnello mite e senza pretese. E tutte le idee di Dio che lo mostrano come un orribile mostro sono visoni demoniache da cancellare e dimenticare. Un agnello come i tanti sacrificati duranti gli olocausti al tempio. Come i tanti agnelli ancora oggi sacrificati nei nuovi templi dell’interesse, dell’odio, della sopraffazione. Milioni di vittime innocenti. Solidale per sempre, Gesù si schiera al fianco di chi è solo. E toglie, cancella, elimina il peccato del mondo. Non i peccati, quelli piccoli o grandi che possiamo commettere e che inevitabilmente commettiamo. Ma il peccato. Quella distanza che ci allontanava inesorabilmente da Dio. Non esiste più. Nulla ci può più separare da Dio. Perché questa distanza è stata colmata. Così la liturgia pone questa Parola all’inizio di questo anno. Il Figlio di Dio che ci viene incontro, l’agnello che porta il peccato, su cui dimora lo Spirito siamo chiamati ancora a conoscere, ancora a vedere, ancora a testimoniare.

Commento a cura di Cavallo Renato