Is 25,6-10/ Fil 4,12-20/ Mt 22,1-14
Cosa di meglio?
La vita come una vigna in cui Dio ci chiama a lavorare è un’immagine che non a tutti pace, come abbiamo visto con la breve parabola dei due figli e quella decisamente più drammatica dei vignaioli assassini. Per gli uni, gli operai della prima ora, il fratello che deve fare bella figura davanti al Padre, la vigna è luogo di fatica. Ci si sta, ma con rassegnazione, sperando in un tornaconto oppure ce ne si tiene distanti, preferendo coltivare una bella vite ornamentale sul balcone. Per altri, la vigna è luogo di possesso, da sfruttare, di cui usare i frutti in una logica di accaparramento, senza guardare in faccia nessuno anzi, facendo fuori il padrone che esige il giusto pagamento. Gesù, allora, cambia esempio, cambia parabola. Dio è così: se non capiamo in modo, allora prova in un altro. Se non ci garba una cosa, tenta con un’altra. È l’insieme delle immagini che fa il tutto, la totalità del percorso che ci permette di giungere a capire, almeno un poco, quali sono i pensieri di Dio, quelli che ci sfuggono come dicevamo tempo fa. Non ci piace l’immagine della vigna? Magari ci aiuta quella della festa nuziale…
Un re che chiama
Il Dio che Gesù è venuto a rivelare è un re che invita a nozze. Non costringe, non obbliga, non intima. Propone. E non propone solo di andare a lavorare per cambiare il mondo, no. Propone di partecipare ad una bella festa, ad un banchetto elegante, ad una cena che lungamente abbiamo sognato. Così è Dio. Non quello piccino della nostra testa, quello severo delle nostre paure, quello intransigente delle nostre ristrette visioni inutilmente moralistiche. Un Dio che fa festa. Un Dio che ama la compagnia, che la cerca, che mi invita. Invita me, perché non è egoista come sappiamo essere noi, non narcisista e diffidente. Dio è uno spettacolo di luce e di vita e mi chiede, mi propone nell’assoluta libertà, di partecipare alla sua vita ma anche di condividere la sua gioia. E i servi vanno, invitano, insistono. Noi servi, noi discepoli che già abbiamo conosciuto l’immensa bellezza di Dio. Come sono belli sui monti piedi di chi parla di Dio! Solo che. Ahia Grandioso, direte voi. In teoria.
In pratica
Dio si riceve un solenne e condiviso: no, grazie. Abbiamo delle cose da fare. Vero, certo. Cose urgenti, necessarie, importanti. Ma sempre e solo delle cose. Materia, impegno, lavoro, sudore. Cose. Che riempiono ogni spazio, che occupano la mente, che spengono l’anima e il desiderio. Peggio: che la uccidono. Non sono malvagi coloro che rifiutano. Sono solo troppo impegnati per diventare felici. Si illudono di trovare la felicità dopo avere finito le cose da fare. Come se la felicità potesse aspettare. Eppure basta poco. Accogliere l’invito, andare. Vedere quanta gioia, verità, bellezza, abitano in Dio, e come la nostra vita, comunque sia, possa fiorire. Cosa abbiamo di meglio da fare, oggi, dell’essere felici? Accampiamo scuse. Problemi, dolore, a volte addirittura attribuito a Dio, ostacoli. Macché: se non siamo felici oggi, non lo saremo mai.
L’abito
Una sola cosa serve: l’abito. Un abito adatto, confacente. Assurdo, all’apparenza: al rifiuto degli invitati il re spinge ad entrare cattivi e buoni, medicanti e poveri. Come pretendere da loro un abito nuziale? Matteo, riprendendo questa parabola, pensa a quanti, in Israele, non hanno accolto l’invito, ora rivolto ai pagani. Noi, oggi, sappiamo che l’invito di Dio è rivolto a tutti, anche a chi non ne è degno, anche ai peccatori. Nessuna selezione di bravi cristiani per far parte della festa. Ma l’abito sì. Certo. La consapevolezza del dono ricevuto, il desiderio, lo stupore, sì, certo. Quello è necessario. Il re è un padre, è buono, non è un bonaccione, un inutile Babbo Natale. Ci ama seriamente, con gioia, ma non si fa prendere in giro. Possiamo drammaticamente rifiutare la gioia. Ma anche fingere e non essere disposti a crescere, a fiorire, a convertirci. La conseguenza, allora, sarà quella di essere per sempre legati alla nostra minuscola visione della vita ed abitare nelle tenebre. Prepariamoci alla festa, oggi. E, come servi, diciamo a tutti che Dio ci invita. Il desiderio e la fede sincera siano l’abito da indossare. Cosa abbiamo di meglio da fare oggi che non essere felici